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Ноябрь
2024

Bersani assolto: definì Vannacci un “co****ne ma il tribunale lo grazia: si può fare, “il fatto non sussiste”, solo un’allegoria. Ma davvero?

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Bersani assolto. Il fatto giudiziario, e la stessa offesa che lo sottende, si possono riassumere in poche parole: si può fare. Almeno stando a quanto sentenziato dalla decisione del Gip di Ravenna sulla controversia che ha visto al centro della scena mediatica e processuale l’ex segretario del Pd accusato di aver utilizzato un linguaggio diffamatorio nei confronti del generale Roberto Vannacci, oggi europarlamentare eletto nelle file della Lega. Il punto della vertenza era chiaro: come chiare erano gli epiteti utilizzati da Bersani durante un evento alla Festa dell’Unità a Ravenna il 1° settembre 2023, in cui aveva definito Vannacci un «coglione». Eppure oggi, a sentenza di assoluzione ufficializzata, un togato stabilisce che «il fatto non sussiste», e proscioglie il dem dall’accusa di aver diffamato il generale che lo aveva querelato.

Bersani assolto. Il dem: «Vannacci? Mi pare giudice abbia ben compreso quello che intendevo dire»

E Bersani si bea, con cautela, ma gioisce. «Devo ancora leggere il dispositivo e non posso commentare a fondo. L’ho appreso dai giornali e da quel che leggo posso dire che è vero che sono appassionato di metafore ma ogni tanto mi scappa anche un’allegoria». E non contento, dopo aver definito l’epiteto una semplice “metafora”, si spertica in lodi per chi lo ha assolto, aggiungendo beffardo: «Trovo molto raffinata questa valutazione. Mi pare che il giudice abbia ben compreso quello che intendevo dire. Ora leggerò e vediamo», commenta Bersani ai microfoni de L’Aria che tira riguardo la sua assoluzione per il caso Vannacci. Ma facciamo un passo indietro e ricostruiamo almeno i termini concreti di una vicenda finita nell’immaginario giudiziario di un’assoluzione piena.

I passi della vicenda giudiziaria

Si, perché l’assoluzione è stata pronunciata in nome del criterio giuridico per cui «il fatto non sussiste». Eppure, come riporta in queste ore anche il Resto del Carlino, dopo la querela presentata da Vannacci, il 27 febbraio la Procura ravennate aveva chiesto per Bersani un decreto penale di condanna per 450 euro di multa per diffamazione aggravata dal mezzo (oltre che davanti a centinaia di persone, l’intervista “incriminata” era stata trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube del Pd. Ossia su piattaforme di streaming e davanti a un pubblico nutrito che non poteva che amplificarne l’impatto), in quanto poteva «dirsi provata la penale responsabilità sulla base delle documentazioni audio-video» acquisite dalla Digos ravennate.

Ma ecco che il gip al lavoro sul caso, dopo una analisi esegetica e concettuale, ha deciso di bannare dal campo giuridico il reato di ingiuria, concludendo che la richiesta del Pm non può «essere accolta per insussistenza giuridica e prima ancora linguistica».

Fino alla sentenza esegetica sul crinale linguistico tra allegoria e metafora…

E alla fine della fiera la spiegazione esegetica del ragionamento giuridico finisce per essere quasi più analiticamente nebuloso dello stesso pensiero che il querelato ha verbalizzato. Esplicitato poi alla fine ben più prosaicamente con il ricorso al fatidico epiteto, finito all’indice. In particolare Bersani, in relazione al bestseller di Vannacci Il mondo al contrario, aveva ambientato il suo ragionamento in un ipotetico “bar Italia”. E, intervistato da una giornalista, aveva posto questa domanda: «Ma se in quel bar lì è possibile dare dell’anormale a un omosessuale, è possibile anche dare del c…e a un generale?». Così, addentrandosi nelle maglie intricate dei retro-pensieri e delle loro possibili articolazioni e allegoriche allusioni, secondo il giudice, le parole di Bersani «non possono essere qualificate come metaforiche», ma è accaduto piuttosto che «il querelante abbia confuso la figura della metafora con quella della allegoria».

Una discettazione in punta di linguistica e di legge

Una dissertazione in punta di penna e di sottigliezza manualistica che ha fatto prendere al Tribunale di Ravenna una piega inaspettata, sorprendendo un po’ tutti. Già, perché il gip in questione alla fine ha ritenuto che le dichiarazioni dell’ex segretario del Pd dovessero essere interpretate all’interno di un contesto più ampio e che, in realtà, non costituissero un atto di diffamazione diretta nei confronti di Vannacci. Ovvero Bersani «descrive un luogo inesistente dove sarebbero leciti linguaggi in netto contrasto con la sensibilità civile».

Bersani definì Vannacci un co****one: ma per il gip era solo ironia…

Pertanto secondo il gip è evidente che, «essendo nota la storia personale e l’ironia di cui Bersani ha fatto sfoggio in decenni di carriera politica, la frase incriminata appare all’ascoltatore non credibile: un artificio retorico volto all’ironia politica nei confronti della destra italiana». E quindi passi… E tutto in nome della filosofica distinzione assurta a valore giuridico della differenza tra le figure retoriche della metafora e dell’allegoria, suggerendo che l’intento di Bersani fosse di stimolare una riflessione critica piuttosto che offendere personalmente l’europarlamentare.Ma l’opinione pubblica sarà in grado di cogliere il sottile crinale su cui si gioca la sentenza? Oppure passerà solo il risultato accreditato dal verdetto? Ai posteri, e ai lettori, l’ardua sentenza

 

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