“La casa dei silenzi”, il nuovo viaggio tra gli incubi di Donato Carrisi: «Nella nostra vità c’è uno specchio segreto e misterioso»
«Mi chiamo Pietro Gerber, sono l’addormentatore di bambini, e di colpo ho paura di dormire. E ho ancora più paura di stare sveglio». Si presenta così il protagonista del nuovo romanzo di Donato Carrisi, La casa dei silenzi (Longanesi), che sarà presentato oggi dall’autore in un incontro di “Fuoricittà” a Casarsa (alle 20.45 al Teatro Pasolini), in dialogo con Gian Mario Villalta. Gerber era già apparso in tre precedenti romanzi dello scrittore di thriller: è un ipnotista che si trova alle prese con una vicenda che tiene avvinto il lettore fino all’ultima pagina.
Donato Carrisi ci porta pure questa volta in un mondo di incubi che tracimano e invadono la realtà. Uno degli elementi più affascinanti del romanzo è infatti una donna misteriosa che abita i sogni come uno spettro, come una presenza inquietante.
Torna Pietro Gerber, psicologo infantile e ipnotista, già presente in tre suoi libri. Qual è lo spunto da cui nasce questo nuovo romanzo?
«Anche in questo caso si tratta della storia di un bambino, che ha un sogno ricorrente: sogna sempre una donna, ormai da diversi mesi, dai capelli lunghi e neri, che però non dice una parola. Nei suoi sogni la battezza “la signora silenziosa”. Non è la protagonista di incubi, perché i sogni del bambino sono sogni normali, ma a un certo punto comincia ad essere una presenza ingombrante... Lo portano da Gerber per chiedergli appunto di liberare i sogni del ragazzino. E Gerber, mentre ipnotizza il bambino, riesce a entrare in contatto con questa donna dei suoi sogni. E scopre una storia: molti aspetti della vicenda che la donna racconta, incominciano a trovare riscontri anche nella realtà...».
È un romanzo con un’atmosfera gotica, si parla di ipnosi, c’è un elemento soprannaturale. Perché siamo tutti così affascinati da questi elementi e dal male?
«Lo specchio della nostra vita non ce l’abbiamo sempre davanti agli occhi, è uno specchio segreto e misterioso, i lati oscuri sono poco conosciuti, soprattutto perché oscuri. Ecco perché quando qualcuno punta la luce sugli angoli buoi, la cosa ci crea sempre curiosità».
La verità non è sempre quella che vediamo, esistono vari livelli di coscienza?
«Io lo sostengo nel romanzo, nel senso che in qualche modo si fa portatore di questo messaggio, che io posso soltanto raccontare».
Questa è un’altra puntata dedicata a una casa, dopo quella delle voci, dei ricordi e delle luci. Ci sono altre case nel prossimo futuro?
«Non lo so, le case per me sono sette, però non so se le scriverò tutte. Chissà. Ci sono delle idee, se fosse sufficiente avere soltanto un’idea sarebbe molto più semplice».
Come si costruisce un buon thriller? Lei sostiene che adora i colpi di scena che arrivano alla fine di ogni capitolo...
«Non bisogna mai lasciare al lettore la possibilità di riemergere, può farlo soltanto alla fine, deve essere tutta un’apnea. La maggior parte dei miei lettori legge il libro in una notte, in due giorni: questo tipo di lettura non si prolunga perché appunto non ti lascia spazio».
Quali consigli può dare a un aspirante scrittore di thriller o gialli?
«Io mi definisco uno scrittore di thriller, il giallo è un’altra cosa, pur rientrando nel genere noir. A un aspirante scrittore di thriller consiglierei di leggere molti thriller, sennò è difficile imparare le regola dell’architettura della struttura di un thriller, ci sono cose ben precise. A differenza del giallo, che è un po’ più libero, il thriller è molto più complesso, ci sono regole precise per esempio sul ritmo da rispettare».
Stephen King afferma che “i mostri sono reali e anche i fantasmi lo sono”.
«Se lo dice lui, non possiamo che credergli. E io sono convinto della stessa cosa, altrimenti saremmo scrittori di fantascienza. Noi non scriviamo fantascienza, alla fine raccontiamo delle cose che la gente sente vicine, come probabili».
È vero che Stephen King è l’unico scrittore che non vorrebbe conoscere...
«Siccome per me è un mito, è molto pericoloso conoscere i miti: è come andare da un prestigiatore e scoprire che in realtà che la magia è tutto un trucco; è tutto un trucco ma in realtà non lo vuoi sapere».
Lei ha lavorato molto anche per il cinema, realizzando come regista tre film tratti dalle sue opere. Com’è stato lavorare con “mostri sacri” come Dustin Hoffman e Toni Servillo?
«Due grandi attori. Più facile che lavorare con quelli piccoli, ti rendono più facile la vita, non devi preoccuparti troppo nel dirigerli».
C’è ancora il cinema nel suo futuro?
«Sì, ma con le cose giuste. Bisogna fare il cinema con tutti i crismi: gli attori giusti, i finanziamenti giusti, il momento giusto, questo non bisognerebbe mai sbagliarlo. Fare cinema non è come scrivere un libro in cui tutto viene lasciato al lettore, che costruisce tutto. Quando fai cinema, fai un lavoro inverso: fai tutto tu, devi essere perfettamente consapevole di quello che fai».
Una curiosità. Il protagonista del libro è un ipnotista. Lei ha mai fatto ipnosi?
«Io faccio esperienza di tutto quello che racconto. Ancora adesso l’ipnosi è un buon modo per conoscere se stessi. E soprattutto per capire i propri limiti. Su una minoranza funziona, una minoranza fortunata».