Tragedia di Novi Sad, il ministro si dimette
Non si placano, in Serbia, dolore, tensione e polemiche in relazione alla tragedia alla stazione ferroviaria di Novi Sad dove, venerdì scorso, quattordici persone sono morte e tre sono rimaste gravemente ferite nel crollo improvviso della tettoia esterna in cemento dell’edificio. E cadono le prime teste, teste pesanti.
A quattro giorni dal dramma e a seguito di proteste di piazza molto partecipate, il potente ministro delle Costruzioni e delle Infrastrutture, Goran Vesić, ha annunciato ieri le sue dimissioni. «Non mi ero finora espresso per pietà» verso le vittime e «i loro familiari», ma «ho offerto le mie dimissioni lo stesso giorno» del crollo al premier Vučević e «vi informo che domani mattina (oggi per chi legge, nda) le rassegnerò» formalmente, ha detto Vesić.
Le dimissioni rappresentano un «obbligo morale» ma non un’ammissione di colpa, ha però precisato Vesić, perché «non posso prendermi la responsabilità» delle morti «poiché io e chi lavora con me non ha un briciolo di responsabilità» per quanto accaduto a Novi Sad. Perché? Il dicastero sotto la sua guida, non avrebbe infatti firmato alcun atto o fatto alcuna scelta che potrebbero aver avuto «un impatto» sul progetto di modernizzazione e sui lavori alla stazione e quindi sulla strage, ha assicurato Vesić, che ha poi chiesto alla magistratura di fare luce sui responsabili.
«Piango ancora» per le vittime, ha poi detto, turbato e commosso, ribadendo quasi in lacrime di andarsene «con la coscienza pulita» e con la certezza di aver lavorato «solo nell’interesse della Serbia».
Le dimissioni arrivano dopo giorni di aspre polemiche e pure di proteste, alcune già organizzate, altre solo annunciate. Domenica a Belgrado, proprio davanti al ministero delle Costruzioni e Infrastrutture, un folto numero di cittadini – chiamati a raccolta dagli attivisti dell’organizzazione studentesca “Svice” – si era presentato davanti al dicastero con le mani tinte di rosso sangue, urlando a gran voce «dimissioni» proprio all’indirizzo di Vesić, ma anche del premier e del sindaco di Novi Sad. «Se c’è qualcuno di onesto tra voi, arrestate i responsabili» della strage alla stazione, avevano chiesto alcuni manifestanti ai poliziotti intervenuti a proteggere l’edificio che ospita il ministero. Altri, avevano poi dipinto mani insanguinate sulla stessa facciata del palazzo del governo e su quella della Corte d’appello, «tracce di sangue» simboliche per denunciare le presunte colpe delle autorità nella sciagurata vicenda. Significative le scritte sugli striscioni e gli slogan urlati in strada, da «non è stata una tragedia, ma un crimine» a «se cercate i responsabili, guardatevi allo specchio».
Una nuova dimostrazione di piazza dovrebbe tenersi martedì proprio a Novi Sad, città affranta che, dopo aver pianto e acceso candele in memoria delle vittime, è uscita da tre giorni di lutto cittadino. Dopo Novi Sad, dovrebbe poi essere di nuovo la volta di Belgrado, questa volta per una massiccia protesta al grido di «o noi o loro». Ma le dimissioni di Vesić potrebbero forse un po’ raffreddare gli animi. —