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Ноябрь
2024

«Giù le mani dal Savski» Protesta a Belgrado per salvare il ponte sopravvissuto ai nazisti

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“Quell’ultimo ponte”, “Il ponte di Remagen”, quello celebre “sul fiume Kwai”. O il ponte sulla Drina, di Ivo Andric. I ponti sono da sempre costruzioni affascinanti, degne di essere immortalate in kolossal hollywoodiani o di diventare il cuore di capolavori letterari. Ma possono trasformarsi, a volte, in una miccia di tensioni sociali e politiche che da tempo covano sotto le ceneri, tali da incendiare prima una metropoli, poi forse un Paese intero.

Metropoli come Belgrado, dove si sta preparando – anzi, già si combatte – una vera e propria “guerra”. È quella sullo “Stari Savski Most”, che contrappone le autorità al potere, che hanno deciso di sostituirlo con uno più moderno, e i tanti cittadini comuni che intendono invece salvarlo.

Stari Most o Savski, così lo chiamano tutti a Belgrado, è un vecchio ponte metallico, tinto di verde, che attraversa la Sava nel centro della capitale serba; non è il ponte di Mostar, ma un’opera comunque di rilievo, che svolge una funzione ancora importante di snellimento del caotico traffico cittadino. E ha dietro una storia di tutto rispetto.

E per capire la “guerra del ponte di Belgrado” bisogna appunto fare un passo indietro, nel 1942, in piena occupazione nazista. In quell’anno, furono proprio i tedeschi a erigere il ponte, che rimase anche nel dopoguerra – per lunghi anni – l’unico percorribile tra le due sponde della Sava, dopo l’abbattimento nel 1941 del glorioso “Most Kralja Aleksandra”.

Ponte, lo Stari, che sopravvisse anche alla fase finale del secondo conflitto mondiale. I nazisti, incalzati da Armata Rossa e partigiani di Tito, lo minarono e decisero di farlo saltare in aria, per proteggersi la fuga verso nord. Ma l’atto barbarico non si concretizzò per il coraggio di un maestro elementare, Miladin Zaric, con buone conoscenze di esplosivi, che tagliò i cavi prima che le cariche fossero attivate, salvando così il ponte, il 20 ottobre 1944.

E lo Stari Most fu così l’unico grande ponte in Europa, assieme al Ludendorff a Remagen, che i nazisti non riuscirono a distruggere durante la ritirata. Ottantadue anni dopo la costruzione, il ponte avrebbe però oggi il destino segnato. Dopo anni di dibattiti, polemiche e ritardi, il ministero serbo delle Costruzioni ha firmato infatti il via libera alla rimozione del ponte – forse da riutilizzare in quel di Zemun – che andrà sostituito con un’opera più moderna, capace di sostenere il maggior traffico, disturbando meno gli agiati residenti di “Belgrado sull’acqua”, il mega-quartiere di grattacieli in vetro-cemento che sta crescendo nell’area.

«Il ponte rimane», hanno però gridato a centinaia già giovedì sera, avanguardia di cittadini comuni, attivisti ed esponenti delle opposizioni, che hanno occupato simbolicamente lo Stari Most e promesso di organizzare servizi di guardia – e barricate contro le ruspe, già attivate – per impedirne la demolizione.

«L’idea è che sul ponte si alternino 20-30 persone ogni volta, in 700 hanno dato la loro disponibilità e il numero cresce di ora in ora, ha fatto sapere uno degli “indignados” pro-ponte, Djordje Miletic. «Nessuno distruggerà il ponte», «la battaglia continua, il ponte rimane» ed è «tutta colpa del cancro-Belgrado sull’acqua» - in procinto ora di espandersi sull’altra riva della Sava - alcuni degli slogan più in voga su striscioni e cartelli.

«Dopo cinque anni di battaglie e appelli, ora dobbiamo proteggere fisicamente il ponte», ha fatto eco il politico di minoranza Vladimir Pajic, che ha messo nel mirino, come gli altri manifestanti, soprattutto il controverso sindaco di Belgrado, l’ex campione di pallanuoto Aleksandar Sapic.

E nuove azioni, con potenziali problemi di ordine pubblico, sono possibili se la rimozione dovesse effettivamente partire – come tutto indica. —