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Ноябрь
2024

Lupi, gli allevatori bellunesi spronano la Regione: «Fornisca a Ispra i dati dei capi uccisi»

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Sono più di 800 i capi di bestiame, in gran numero pecore e agnelli, che sono stati predati nella sola conca dell’Alpago negli ultimi cinque anni. In provincia si va ben oltre i mille. Ma Zaccaria Tona, presidente della Cooperativa Fardjma, ha perso, da mesi, la voglia di tenere aggiornato il conteggio. «Può darsi che mi torni», afferma con un profondo sospiro di sollievo, «dopo aver appreso dell’emendamento votato al Senato, nel contesto della legge sulla Montagna, per impegnare Regioni e Province autonome a fissare la quota di presenze di carnivori sopportabili».

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«In ogni caso», aggiunge, con toni quasi di ammonimento, «adesso si muova la Regione Veneto: a fornire tutti i dati ad Ispra perché li passi al Ministero dell’Ambiente, cui compete l’auspicata e sospirata azione di contenimento».

Al momento l’unica misura possibile, nel rispetto della protezione europea del carnivoro, è la dissuasione, al massimo con pallini di gomma, e soltanto per i lupi confidenti, che ripetutamente si avvicinano agli allevamenti e ai paesi.

L’emendamento nel Ddl Montagna, per la verità, va oltre: mette in conto uno dei principali presupposti per applicare l’eventuale declassamento della protezione del lupo da parte dell’Unione Europea. Ma per arrivarci bisognerà aspettare almeno un anno, forse un anno e mezzo. «Comunque», riconosce Tona, «quell’emendamento è un deciso passo avanti».

Il provvedimento porta la firma anche del senatore di Fratelli d’Italia e presidente della IX Commissione Senato - Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare, Luca De Carlo. «Si tratta di un significativo passo avanti per la sicurezza del lavoro dei nostri agricoltori e per tutti i cittadini della montagna», sottolinea De Carlo.

«Quotidianamente ormai in Veneto, soprattutto nel Bellunese ma da qualche tempo anche nel Vicentino, Trevigiano e Veronese, registriamo episodi di predazioni di bestiame, ma anche di animali da compagnia. Il fenomeno va contenuto: ci si affidi sempre alla scienza, ma non ci si sottragga dalla gestione, per non correre il rischio di azzerare l’agricoltura in montagna. Alle Regioni spetterà un lavoro tecnico molto preciso sui dati tecnici dei censimenti, sulle stime e il rilievo dei danni».

Secondo De Carlo, «solo con un lavoro tecnico ineccepibile» potranno essere aggirati gli scogli che inevitabilmente si pareranno davanti e che fin dall’inizio di questa questione certa politica pseudo-ambientalista ha scatenato.

Il presidente di Fardjma si appella proprio a questa espressione del parlamentare bellunese per sollecitare le istituzioni preposte ad accelerare.

«Lo sappiamo che l’iter procedurale in Europa sarà lungo, per tradurre in norma legislativa il pronunciamento del Consiglio europeo sulla minore protezione del lupo perché la popolazione non è più a rischio. Ma intanto Roma», insiste il presidente di Fardjma, «potrebbe predisporre la strumentazione per applicare immediatamente le nuove norme di Bruxelles». Invece? «Invece mi consta, spero di sbagliare», aggiunge Tona, «che Ispra stia chiedendo da tempo i dati sulle predazioni, specificatamente in Alpago, e che non riesce ad averle da Venezia. Da parte nostra, di noi allevatori, stiamo facendo pressing, ma veniamo ascoltati solo a parole».

Gli allevatori di Fardjma, che allevano la pecora alpagota, non pretendono la libera caccia al lupo, ma la cattura di selezione, a cominciare appunto dai carnivori confidenti.

In Alpago, secondo Tona, ce ne sono tra i 50 e i 70. «I più pericolosi non sono quelli che si muovono in gruppo, ma i soggetti liberi, che si muovono autonomamente, che magari sono stati allontanati dal branco, e che risultano i più avidi, diciamo pure i più cattivi. Tanto da azzannare fino alla morte anche i cani da guardia».

Secondo Tona, se non interviene rapidamente qualche misura, i 30 allevatori hobbisti (tanti ne associamo) hanno tutta l’intenzione, prima o poi, di mollare.

Anche la vice presidente della Provincia di Belluno Silvia Calligaro, delegata nelle materie di agricoltura, caccia e pesca, ammette che “finora non c’è stata gestione, ma solo constatazione dello stato di fatto, ovvero presa d’atto del ritorno del lupo e delle conseguenze dirette sulle attività zootecniche, con il rischio di dover dire addio all’allevamento in montagna, visto che molte aziende agricole e semplici hobbisti hanno dovuto vedere inermi i loro capi predati».