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Processo Vaticano, i giudici su Becciu: “Fu peculato. Marogna? Rapporti familiari anche dopo aver scoperto” la truffa

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A dieci mesi dalla condanna a 5 anni, sono state depositate le motivazioni del verdetto del processo sulla compravendita del palazzo di Londra che ha visto tra gli imputati il cardinale Angelo Becciu. Le accuse contro il porporato, sostituto della Segreteria di Stato per 7 anni fio al 2018, e gli altri 9 imputati più quattro società, erano quelle di peculato, abuso di ufficio, appropriazione indebita, autoriciclaggio e il caso è ruotato soprattutto attorno alla compravendita del palazzo Sloane acquistato dal Vaticano per oltre 200 milioni di dollari con una perdita di circa 140 milioni.

Il peculato e il vantaggio per Mincione – Secondo il Tribunale vaticano “è di tutta evidenza l’eccezionale gravità dei fatti … in relazione sia all’entità delle somme di denaro … oggetto del peculato, sia del protrarsi delle condotte criminose nell’arco di diversi anni ed in contesti del tutto eterogenei, sia – soprattutto – per la qualità e per il ruolo apicale ricoperto dall’imputato”. I magistrati sottolineano che il reato si concretizza anche se l’imputato non ha incassati soldi per sé e quindi non c’è una “finalità di lucro” personale. Nell’affare un ruolo privilegiato spettava al finanziare Raffaele Mincione (condannato a 5 anni e sei mesi). “Non può certo negarsi che l’uso in modo illecito dei beni della Chiesa si sia risolto in un tanto evidente quanto significativo vantaggio per Mincione ed i suoi sodali quale diretta conseguenza della condotta illecita” dal cardinale Becciu. Ma non solo nel verdetto, oltre 800 pagine, si specifica che “non poteva certo sfuggire ad una persona dall’esperienza e delle capacità riconosciute all’allora Sostituto Becciu”, la figura del finanziere anche per le informazioni raccolte dalla Gendarmeria vaticana che aveva sconsigliato di mettersi in affari con lui.

La truffa e Cecilia Marogna – Becciu è stato condannato inoltre per truffa aggravata, in concorso con Cecilia Marogna, per aver versato 575 mila euro alla donna, amica del cardinale e accreditata come esperta di intelligence senza averne titolo. Soldi, tramite una società a lei riferibile, la Logics con sede in Slovenia, “con la motivazione, non corrispondente al vero, che il denaro doveva essere utilizzato per favorire la liberazione di una suora, vittima di un sequestro di persona in Africa”. Denaro invece utilizzato per “acquisti voluttuari”, come dalla richiesta dell’accusa e che sono andati poi in scarpe, borse, hotel di lusso. Secondo i giudici “il cardinale ha avuto, in più riprese, la certezza anche documentale del fatto che la Marogna aveva speso il denaro che egli le aveva fatto mandare per scopi personali, per lo più voluttuari, ma non ha fatto niente. Anzi, secondo quanto egli stesso ha dichiarato, ha chiesto più volte spiegazioni alla Marogna ed ogni volta si è ‘accontentato’ dell’affermazione della donna che le accuse non erano vere”, scrive il Tribunale vaticano.

“Pur a fronte della piena consapevolezza circa la assoluta gravità dei fatti di cui (almeno) la Marogna si era resa protagonista, il cardinale Becciu non ha presentato una querela, una denunzia e neanche un semplice esposto; in realtà, non ha preso le distanze dalla Marogna neanche nelle dichiarazioni rese da imputato, nelle quali ha continuato a sostenere la professionalità e affidabilità della donna senza mai affrontare il tema del denaro da lei speso”.

Per il Tribunale si tratta di “un comportamento oggettivamente inspiegabile, tanto più per una persona delle qualità e nella posizione dell’imputato, Cardinale Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, per sette anni Sostituto della Segreteria di Stato, che per un lungo periodo aveva goduto della piena fiducia del Papa“. Nel documento si sottolineano anche “i rapporti tra la Marogna, il Cardinale e i suoi familiari quali emergono dai messaggi rinvenuti dalla Guardia di Finanza sui telefoni cellulari sequestrati ad alcuni di loro”. “A prescindere dalla ricostruzione del contenuto delle diverse vicende cui fanno riferimento questi messaggi. quello che rileva in questa sede è evidentemente il fatto che essi dimostrano che il Cardinale ha continuato ad avere rapporti del tutto amichevoli, se non di vera e propria familiarità, con la Marogna anche dopo che egli ha saputo che aveva speso i soldi della Segreteria di Stato per scopi personali e voluttuari”, si legge nelle motivazioni della sentenza.

Alla donna, Becciu aveva consegnato nel settembre 2019 anche 14 mila euro in contanti. Insomma, mentre i primi versamenti alla Inkerman “erano effettivamente destinati ad un soggetto deputato a svolgere attività di carattere umanitario”, i circa 600.000 euro ulteriori versati alla Marogna “sono risultati privi di qualsivoglia riconducibilità ai suddetti fini”, tanto che il cardinale Becciu non ha mai fatto il nome di Marogna con i suoi superiori.

Le lettere del Papa – Nelle motivazioni della sentenza del processo sull’uso dei fondi della Segreteria di Stato vengono pubblicate le lettere tra il Papa e il cardinale Angelo Becciu. “Le lettere tra il cardinale Becciu e il Santo Padre sono state riprodotte per intero, sicché se ne può apprezzare linearmente l’esatta portata, la particolare rilevanza e la reciproca distanza senza necessità di ulteriori chiose”, sottolinea il Tribunale. “Non merita poi alcun commento l’incredibile decisione dell’imputato: a. di preordinare ed eseguire la registrazione di una conversazione privata con il Santo Padre, il quale peraltro – come detto – era ancora sofferente dopo un delicato intervento chirurgico; b. di fare assistere alla telefonata la Zambrano e un’altra persona non identificata, peraltro a fronte di contenuti della conversazione che lo stesso imputato ha reiteratamente indicato come coperti da segreto di Stato in ragione della straordinaria rilevanza e delicatezza dei temi trattati, tanto da ottoporre al Santo Padre il testo di una dichiarazione nel tentativo (poi risultato vano) di ottenerne la sottoscrizione; c. di portare la registrazione e quindi quegli stessi contenuti a conoscenza di altri soggetti ancora (certamente almeno Mario Becciu), giacché non possono avere altro significato le parole perentorie rivolte dallo stesso Mario Becciu alla Zambrano: ‘porta la registrazione (…) ordine di A.'”.

La diocesi di Ozieri – La questione dei fondi destinati alla cooperativa Spes della diocesi di Ozieri non può avere come punto di vista il fatto che si trattasse di una opera di beneficenza, oppure che comunque i soldi poi di fatto non siano stati spesi. “Il tema centrale resta uno ed uno soltanto: la illiceità della donazione, in guanto effettuata a favore di propri congiunti e quindi in violazione delle già citate norme dell’ordinamento con conseguente uso illecito delle somme di cui il pubblico ufficiale dispone”, sottolinea il Tribunale vaticano, nelle motivazioni della sentenza, in relazione agli stanziamenti decisi, su indicazione del cardinale Angelo Becciu, per la cooperativa, legata alla diocesi sarda, guidata dal fratello e altri parenti.

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