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Aborto farmacologico, in Emilia-Romagna via libera alla seconda pillola a domicilio con assistenza in telemedicina

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L’Emilia Romagna è pronta per avviare l’aborto farmacologico fino alla nona settimana di gestazione in telemedicina e con un solo accesso in consultorio. Lo prevede una determina del 9 ottobre scorso che contiene elementi di novità rispetto ai percorsi sperimentali già avviati in Regione dal 2021. Un atto amministrativo che arriva alla soglia delle elezioni regionali del 17-18 novembre e che impegna la giunta in entrata a garantire in modo capillare l’accesso all’aborto farmacologico tramite i servizi territoriali. “È solo il primo passo: partiamo dall’IVG per riprenderci i consultori”, dicono la rete di associazioni che da maggio scorso.

Cosa cambia – Secondo il nuovo modello di assistenza che entrerà a regime con il nuovo anno, la prima pillola abortiva sarà somministrata in consultorio (o in ospedale) in regime ambulatoriale e la seconda pillola verrà consegnata alla paziente fino alla nona settimana di gestazione, insieme agli opuscoli informativi, agli antidolorifici e al test di gravidanza che servirà per confermare l’avvenuta interruzione, da fare a casa con la possibilità di ricevere assistenza con la telemedicina; da subito verrà proposto il counselling contraccettivo.

Solo il Lazio e l’Emilia Romagna, ad oggi, avevano applicato almeno parzialmente le Linee di indirizzo ministeriali del 2020 che invitavano le amministrazioni regionali a deospedalizzare l’aborto farmacologico, rendendo possibile la somministrazione del mifepristone e del misoprostolo in consultorio. In queste due Regioni si è dunque avviata negli anni scorsi una sperimentazione, ma solo in alcune sedi e solo fino alla settima settimana di gestazione. Secondo i dati dell’AUSL Bologna, infatti, nel 2023 i due consultori autorizzati nel proprio territorio, Porretta Terme e San Giovanni in Persiceto, hanno somministrato rispettivamente solo 18 e 25 IVG farmacologiche, a fronte delle 846 dell’Ospedale Maggiore. Il Maggiore ha dunque un peso determinante in quell’81,9% di farmacologiche sul totale delle interruzioni volontarie di gravidanza con cui il distretto bolognese si smarca nettamente dalla media nazionale (45,3% nel 2021). E non è l’unico dato che risalta, anche nel contesto regionale: nell’81,2% dei casi il tempo di attesa tra la certificazione e l’intervento è stato inferiore a 7 giorni rispetto al 51,8% della media regionale (a livello nazionale il dato non è disponibile poiché i tempi di attesa entro 14 giorni sono indicati complessivamente).

“Speriamo in una maggiore presa in carico dei consultori” – Il distretto ospedaliero di Bologna è il servizio che eroga il maggior numero di interruzioni volontarie di gravidanza in regione e questo ne fa un polo di immigrazione per IVG sia regionale che interregionale. “Le utenti arrivano fin da Trento e non mandiamo via nessuno. Sappiamo di essere un’isola felice nel contesto italiano e intendiamo rimanere un presidio di qualità” dice una ginecologa dei servizi a ilfattoquotidiano.it. “L’esperienza bolognese ha condotto intra-mura, cioè in ospedale, una prima fase con la modalità day-hospital. Avendone verificato la sicurezza è pronta per il domicilio”, commenta la ginecologa. “Abbiamo già tutto, inclusa l’infrastruttura informatica per fare la telemedicina: si tratta solo di tirare le fila. Speriamo in una maggiore presa in carico da parte dei consultori. L’obiettivo è che l’ospedale resti punto di riferimento solo per le IVG chirurgiche e per le farmacologiche complicate che hanno bisogno di assistenza, oltre che per le interruzioni del secondo trimestre”, dice la dottoressa. Niente di più e niente di meno di quanto previsto dalle Linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità.

L’amministrazione regionale stava già lavorando in direzione di questa determina, pubblicata con il n. 21024 del 09/10/2024, quando i movimenti sono scesi in campo a dare una spinta. Dalla primavera scorsa, infatti, una dinamica di cooperazione tra reti di attivismo locale ha portato alla convergenza su obiettivi condivisi e al consolidarsi di un coordinamento regionale che interagisce con gli attori istituzionali. “Le nostre richieste sono state integrate nella determina dopo il tavolo di lavoro che si è svolto il 24 luglio scorso, incluso il tema importante della trasparenza sui dati, che devono essere aperti e accessibili – dice Ebe Quintavalla, della Rete oltre la 194. – Ma questa determina è un punto di inizio, non un punto di arrivo. Vogliamo che l’80% degli interventi avvenga in tutta la regione almeno entro l’ottavo giorno dal rilascio del certificato (cioè come prescritto dalla legge 194), perché protrarre i tempi di attesa non è giustificato né dal punto di vista sanitario né da quello psicologico. Oggi la contraccezione d’emergenza viene data in consultorio gratuitamente ma solo alle a residenti o domiciliate, noi chiediamo che venga data nelle farmacie e a tutte senza limiti di età o domicilio. Certamente in Emilia Romagna siamo all’avanguardia, ma abbiamo problemi anche noi. Parma, la città da cui parlo, ha problemi di organizzazione per i tempi di attesa, un alto tasso di aborti chirurgici, fatti tra l’altro in una strutttura privata accreditata. Manca l’offerta attiva sull’aborto farmacologico” prosegue Ebe Quintavalla. “A tre mesi dall’insediamento della nuova giunta torneremo a verificare quanto sarà stato realizzato di quello che è scritto sulla carta”.

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