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L’Aquila sarà la capitale italiana della cultura per il 2026: tra identità e tradizione romana

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Il 2026 sarà l’anno dell’Aquila Capitale Italiana della Cultura, grazie al dossier che vedrà protagonista anche la Città e la provincia di Rieti. Sbaglia, però, chi pensa si tratti esclusivamente di un riconoscimento alla bellezza e all’importanza di questi luoghi nella storia della Nazione italiana. Non è questa la finalità del titolo assegnato dal ministero della Cultura, né potrebbe esserlo, considerando  che l’importanza di ogni elemento storico, artistico, paesaggistico e culturale delle zone dell’Appennino centrale non avrebbe certo la necessità di certificazione alcuna. Il dossier che L’Aquila e Rieti insieme hanno elaborato, condiviso e presentato al ministero, e che infine è valso la vittoria, è invece un documento programmatico, un’ambizione di area vasta che marcia lungo le direttrici del recupero dell’identità profonda della nostra Italia, dell’orgoglio dell’appartenenza, della volontà di aprirsi all’esterno e al futuro nella convinzione, ostinata e basata sui fatti, che la storia d’Italia – e forse anche il futuro – non si limiti alle sorti di una manciata di grandi conglomerati urbani presenti sul territorio.

L’Aquila capitale italiana della cultura e la connessione con Roma

La sfida della capitale italiana della Cultura 2026 vuole dimostrare che è possibile condividere un percorso di sviluppo tra territori divisi dai confini amministrativi ma legati da millenarie radici comuni. Entrambe le città, inoltre, stanno sperimentando un tratto della loro contemporaneità: la rinascita legata ad un percorso di ricostruzione post-sisma. Post 2009 per L’Aquila, post 2016 per la provincia di Rieti. Nel fluire del tempo la centralità geografica di Rieti è stata sempre strategica fin dal passaggio della celebre via Salaria, arteria di collegamento rimasta fondamentale anche dopo l’età romana. Quello che per Varrone era “umbilicus italiae” ha sempre determinato un’osmosi tra le aree interne e il fulcro della cristianità: Roma.

Il retaggio storico e culturale del Medioevo

Nei primi secoli del Medioevo la cristianizzazione del territorio vide l’affermazione di un sistema di gestione benedettino che garantì l’organizzazione, l’economia e il sistema produttivo. L’abbazia di Farfa, nel cuore della Sabina, veniva fondata su preesistenze romane e affermava i suoi interessi economici lungo la via della transumanza, oggi Patrimonio immateriale dell’Unesco, che come un fil rouge tesseva la contiguità socio-culturale delle zone interne dell’Appennino centrale. Ma le vie del “Sacro” sono anche altro. Nel XIII secolo, Rieti vide la presenza di ben cinque papi e degli ordini mendicanti. Nel solco di San Benedetto nasce l’esperienza del francescanesimo. Superflua ogni considerazione sulla forza e la genuinità del messaggio del poverello di Assisi nel reatino celebrato tra il 2023 / 2026 con una serie di ottocentenari. Il 2023 ci ha ricordato la stesura della Regola, scritta nel santuario di Fonte Colombo nel comune di Rieti, e del Presepe “inventato” a Greccio nel 1223.

La capitale italiana della cultura del 2026 affronterà una sfida affascinante

Una nuova sfida dunque, affascinante, complicata, forse anche pericolosa come tutte le imprese ardue che vale la pena vivere: quella di ragionare su una progettualità che veda il 2026 come anno di partenza per tentare di imporre nell’agenda Italia la questione dell’Appennino centrale che, oltre a L’Aquila e Rieti, lega altri territori come le province di Terni e Ascoli Piceno. In una nazione avviluppata fin dalla fondazione alla questione meridionale, e poi in epoca più recente a quella settentrionale dettata dalle spinte politico-localistiche di alcuni movimenti, è arrivato il momento che l’Appennino centrale venga considerato appieno nelle traiettorie di sviluppo. E’ un obbligo morale e un’azione necessaria, se davvero si intende guardare al futuro dell’Italia e contestualmente avere rispetto del passato.

Identità, tradizione e cultura

Perché chi ha a cuore l’identità, le tradizioni, la cultura, i legami umani e comunitari, non può rassegnarsi ad un costante e sempre meno sostenibile afflusso verso le grandi metropoli del Paese. Bisogna consentire alle aree interne di recuperare ‘nuovi cittadini’, bloccare lo spopolamento. Noi vogliamo provare a farlo partendo dalla cultura e dalla qualità della vita che, nonostante tutto, è ancora neanche lontanamente paragonabile alle aree metropolitane. E’ questa la sfida della capitale italiana della cultura 2026, tappa iniziale di un percorso del quale speriamo prenda consapevolezza l’intera nazione.

*sindaco di Rieti

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