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Attacco potente ma “telefonato” e limitato a siti militari: così Israele ha voluto ridurre le possibilità di risposte iraniane. Ma i falchi premono e resta l’incognita “Parchin”

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Primo punto: Tel Aviv ha avvertito Teheran prima di far alzare caccia e droni. Attraverso diversi canali “gli israeliani hanno chiarito agli iraniani in anticipo quali obiettivi avrebbero e non avrebbero colpito”, ha detto una fonte ad Axios, sito statunitense specializzato in informazioni d’intelligence. Altri due concetti alla base dell’attacco sferrato questa notte da Israele all’Iran vengono sottolineati da fonti delle Israel Defense Forces nelle chat dei suoi militari: “Due punti importanti del messaggio – si legge -: 1. “Accuratamente” – il messaggio è chiaro”. E poi: “2. obiettivi militari – il che significa che Israele ha scelto bersagli non civili, non impianti petroliferi, ma solo installazioni militari”. Tradotto: Tel Aviv non vuole sollecitare una risposta dell’Iran e per lo Stato ebraico la questione al momento sembra potersi chiudersi qui.

L’operazione è stata tra le più potenti dimostrazioni di forza di Israele – le Idf riferiscono di 100 aerei, tra cui jet da combattimento e droni senza pilota impiegati a 1.600 km di distanza- e ha segnato una certezza: quello che finora è stato una guerra per procura (che in ogni caso Hezbollah porta avanti con il lancio di razzi dal Libano) è diventata un conflitto diretto. Ma le modalità scelte da Tel Aviv per rispondere ai 180 missili piovuti sulle sue installazioni militari il 1 ° ottobre sono tali da poter evitare l’escalation. “Tel Aviv ha progettato l’attacco con l’intenzione di ridurre al minimo le vittime e mantenere l’impatto a un livello che consentirebbe all’Iran di negare gravi danni e contenere la situazione”, ha detto un funzionario israeliana al Washington Post. Fonti arabe sembrano confermare questa lettura: “L’agenzia di stampa iraniana Tasnim, che è affiliata al regime, afferma: ‘Gli aerei israeliani non hanno penetrato lo spazio aereo iraniano, ma hanno attaccato dall’esterno del territorio'”. Non sembra essere vero, ma la versione sarebbe funzionale allo scopo: “Con la necessaria cautela – prosegue il messaggio su un canale Telegram specializzato in tematiche militari -, nelle ultime ore gli iraniani hanno diffuso molte dichiarazioni che cercano di ridurre il risultato israeliano e le dimensioni dell’evento. Questo plasmare la narrazione dell’attacco può dire qualcosa sulle loro intenzioni di continuare o meno” nell’escalation.

Al momento la reazione iraniana sembra avallare questa lettura. “La Repubblica islamica – ha detto il ministero degli Esteri dopo i raid – ritiene di avere il diritto e il dovere di difendersi da atti di aggressione straniera”, ma il governo non ha pronunciato alcuna immediata minaccia di ritorsione. “Teheran può accettare questi attacchi contro le strutture militari, senza reagire in modo tale da invitare ulteriori azioni israeliane”, ha spiegato al New York Times Ellie Geranmayeh, esperta di Iran dello European Council of Foreign Relations, avallando la lettura che più riflette gli auspici di Washington: Joe Biden sogna una tregua nella regione prima delle presidenziali del 5 novembre e nei giorni scorsi Antony Blinken ha fatto per l’undicesima volta dal 7 ottobre 2023 il giro delle principali capitali del Medio Oriente per favorire la ripresa dei negoziati. Una necessità sulla quale concorda anche l’esercito: “La Repubblica Islamica, pur riservandosi il diritto legale e legittimo di rispondere al momento opportuno, incoraggia l’instaurazione di un cessate il fuoco duraturo a Gaza e in Libano“, ha affermato in una nota lo Stato Maggiore Generale delle Forze Armate iraniane. Una posizione in grado di agevolare il lavoro degli emissari di Usa, Egitto e Qatar attese domenica a Doha per provare a far ripartire le trattative.

Due le incognite che restano sul tavolo. La prima: occorre capire quanto a Teheran peseranno le pressioni che i falchi stanno già esercitando sul governo, che finora in questa crisi ha scelto la linea della moderazione per evitare di vanificare i tentativi avvianti negli ultimi mesi per riallacciare un dialogo con l’Occidente. “Una sicurezza stabile dipende dall’autorità e da una forte risposta al più piccolo errore del nemico – ha scritto su X il parlamentare ultraconservatore Amir-Hossein Sabeti -. Sebbene la montagna degli israeliani abbia dato alla luce un topolino, le violazioni delle linee rosse dell’Iran devono essere affrontate a un livello che li sorprenderà”, precisando che “il momento migliore per rispondere” a Israele “è proprio mentre è impegnato in una guerra di logoramento a Gaza e a Beirut“. Tradotto: bisogna colpire Israele ora che è impegnato militarmente anche su altri fronti.

La seconda: la valutazione di Teheran potrebbe cambiare se venisse confermata la notizia riportata dal New York Times secondo cui un drone avrebbe colpito la “base segreta” di Parchin, nella quale secondo Israele il regime testa tecnologie che potrebbero essere utilizzate nella produzione di un’arma nucleare.

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