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Октябрь
2024

Lista “Paesi sicuri”: ecco quali sono i requisiti per farne parte

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Si conosce la lista, non i criteri per compilarla. Nella serata di lunedì 21 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge che contiene un elenco di Paesi definiti “sicuri”: si tratta, in estrema sintesi, di nazioni dalle quali il governo italiano non ravvede fondati motivi per emigrare. La lista in realtà esiste da anni e viene periodicamente aggiornata, la novità è che questa volta si è optato per inserirla in un decreto legge, più “forte” dal punto di vista legale rispetto al decreto interministeriale che era stato utilizzato fino ad ora.

L’iniziativa presumibilmente è conseguenza di quanto successo nei giorni scorsi, quando un giudice del tribunale di Roma non aveva convalidato i decreti di trattamento dei 12 migranti che l’esecutivo aveva spedito in Albania, nel centro per richiedenti asilo costruito a seguito dell’accordo con Tirana.

La direttiva Ue

L’adozione di questo termine deriva da una direttiva Ue, la numero 32 del 2013, che mirava all’adozione di linee guida comuni su quali Paesi possano essere identificati come sicuri, così da snellire le procedure burocratiche per la valutazione delle domande d’asilo. La definizione contenuta nella direttiva è la seguente: «Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni [..] , né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

I Paesi presenti

Sulla base di questa direttiva ogni Stato membro può decidere (non c’è alcun obbligo) di adottare e aggiornare una lista di Paesi sicuri. La determinazione di questi ultimi, dunque, è a discrezione di ciascuno Stato membro. Nell’elenco "italiano” pubblicato lunedì 21 ottobre compaiono 19 Paesi, tre in meno dell’ultima revisione del maggio 2024. A rimanere fuori sono Camerun, Colombia e Nigeria, dove sono ravvisati conflitti o violazioni dei diritti umani.

Ecco la lista completa: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

I criteri per la selezione

Ancora una volta, tuttavia, non è stata resa pubblica la motivazione dietro le scelte. L’unico documento disponibile è una raccolta di schede di ciascun Paese fornita, dietro esplicita richiesta, ad Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e riferita al penultimo aggiornamento di maggio 2024. E andando a leggere alcune delle schede, spesso oscurate in alcuni passaggi, si nota come le maglie siano perlomeno larghe.

I casi di Senegal e Tunisia

Il Senegal, per fare un esempio, era ed è rimasto tra i paesi classificati come sicuri, malgrado lo stesso stesso ministero degli Esteri definisca «preoccupante la situazione della violenza di genere, segnatamente per quanto riguarda le mutilazioni genitali femminili, di cui sono state vittima il 25% delle senegalesi, con punte del 90% in alcune regione», e riconosca che «negli ultimi anni si sono registrati episodi di repressione violenta di manifestazioni politiche da parte del governo, come in occasioni delle proteste del marzo 2021 e della primavera del 2023». Nonostante ciò «L’ufficio, alla luce di quanto indicato e con riguardo alle disposizioni dell’art. 2-bis del d. lgs. n. 25/2008, ritiene il Senegal quale Paese di origine sicuro».

Non va meglio in Tunisia, dove emergono criticità sotto il profilo delle restrizioni della libertà personale e della situazione delle carceri. «La legge – si legge – vieta arresti e detenzioni arbitrarie, ma non sempre il divieto è rispettato». Anche la tortura è vietata, ma «diversi attivisti locali per i diritti umani hanno denunciato il ricorso a tale pratica nelle stazioni di polizia e nei centri di detenzione». Nel Paese africano sono state segnalati diversi casi di morte dei detenuti durante la custodia delle forze di sicurezza. Ma anche in questo caso il parere finale è che la Tunisia sia «un Paese di origine sicuro, ritenendo opportuno un attento monitoraggio dell’evoluzione della situazione nel Paese».

E le indicazioni sono del tutti simili per la maggior parte delle nazioni che fanno parte dell’elenco. Insomma, in attesa del testo del decreto con eventuali integrazioni, restano molti i punti da chiarire sul metodo scelto per determinare quali Paesi siano sicuri e quali no.