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Nordio che denuncia l’uso politico della giustizia dimentica le sue inchieste ‘surreali’ contro Occhetto e D’Alema

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Carlo Nordio, il ministro della Giustizia che nel giorno dell’alluvione non ha trovato di meglio che accusare i giudici romani di aver “esondato dai propri poteri” nel bocciare il protocollo del governo sulla deportazione dei migranti in Albania, piace molto alla Meloni e alla destra proprio per le sue posizioni contro “l’uso politico della giustizia da parte delle toghe rosse”, che lui ha assunto fin dai tempi di Tangentopoli.

Si dimentica però che fu proprio lui nel 1993, quando era procuratore aggiunto a Venezia, ad avviare un’inchiesta basata su un vero e proprio teorema politico risultato poi inesistente.

La maxi-inchiesta per corruzione e associazione a delinquere condotta da Nordio, chiamata “braciola pulita”, era quella sulle cooperative agricole del Veneto, le “coop rosse”, accusate di finanziare illegalmente il Pci-Pds e il Psi attraverso un tortuoso meccanismo: creare coop agricole, ottenere per esse congrui finanziamenti pubblici, dirottare parte di quei soldi ai partiti e poi far fallire le stesse cooperative. Nordio fece sequestrare i bilanci delle Feste dell’Unità delle federazioni venete dell’allora Partito democratico della sinistra e finirono nel registro degli indagati anche il segretario nazionale del partito, Achille Occhetto, Bettino Craxi e Massino D’Alema. I quali, secondo l’accusa, “non potevano non sapere”. I tre vennero sentiti a Roma. Rimane memorabile il commento di D’Alema al termine dell’audizione: “È stato un momento importante del dibattito sul surrealismo”.

Nordio Indagò quasi trecento persone ma le prove delle tangenti ipotizzate non saltarono fuori. Il teorema politico non venne mai dimostrato e la maxi-inchiesta finì sostanzialmente in niente, con qualche condanna e patteggiamento “minore”. Per Occhetto, Craxi e D’Alema fu chiesto il non luogo a procedere. Ma Nordio si dimenticò di seguire l’iter della richiesta di archiviazione che egli stesso aveva chiesto. Diversi anni dopo, nel 2004, lo Stato, per quella dimenticanza, ha dovuto risarcire Occhetto e D’Alema con novemila euro ciascuno.

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