Ecco “una parete tutta per sé”, il libro dedicato alle prime donne alpiniste
Per il settantesimo anniversario della salita al K2, il Club Alpino Italiano ha organizzato la scorsa estate una spedizione femminile alla seconda vetta più alta del mondo. L’attenzione e l’interesse per la parità di genere ha investito, con iniziative non sempre riuscite, anche il mondo dell’alpinismo, per convenzione ritenuto un ambiente maschile e maschilista. Lo fu, lo è stato, di certo non lo è più. Prova ne sono le iscrizioni ai corsi di arrampicata, in cui femmine e maschi sono in pari numero. Però resta un colpevole oblio, che è quello della memoria. In passato le donne erano sì poche, però c’erano. Eppure raramente le cronache narrano delle loro salite, anzi le rimuovono dall’immaginario, e dunque dalla Storia.
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Abbiamo esempi locali eclatanti: cercando negli archivi documenti sull’udinese Livia Cesare, esemplare figura di alpinista negli anni Venti del Novecento alla quale i compagni di scalata dedicarono perfino una cima (Creta Livia), si fatica a trovare una citazione, una dicitura dietro a una foto, perfino una didascalia che la nomini.
Contro questa rimozione va il nuovo libro di Linda Cottino, dal significativo titolo “Una parete tutta per sé” che allude all’anelata stanza di Virginia Woolf, simbolo di indipendenza e libertà. Woolf, coeva delle alpiniste ritratte nel libro, era peraltro la figlia di Leslie Stephen, uno dei fondatori dell’Alpine Club britannico.
La parete del titolo è una roccia, una falesia, una cima da scalare, e non c’è metafora più azzeccata per il cammino delle donne verso l’emancipazione: un percorso in continua salita che, invece di appianarsi, si fa a ogni conquista più erto e impervio.
Giornalista e appassionata di sport di montagna, Linda Cottino ha riportato alla luce nel libro “Qui Elja, mi sentite?” la tragica vicenda delle alpiniste sovietiche morte nel 1974 durante la patriottica salita al Pik Lenin. Ha poi firmato con Silvia Metzeltin “L’alpinismo è tutto un mondo”, mettendo nuovamente al centro le esperienze femminili. In questo caso, la storia ruota attorno al Ladies’ Alpine Club, fondato a Londra nel 1907. È la prima associazione di donne alpiniste, Sono portatrici di un diverso modo di andare in montagna. Diverso come? “Nella capacità di raccontarlo” spiega Linda Cottino, “con una visione più ampia, rotonda, in cui c’entra anche la vita, non solo il resoconto della scalata”. Il libro mescola cronaca e finzione per dare tridimensionalità ai resoconti documentali, ai récit d’ascension, ai verbali dell’esclusivo e magnifico club. Cottino ha compiuto una vasta ricerca, ci ha lavorato mesi, e poi si è immedesimata nelle protagoniste, dando loro voce e sentimenti. Così il libro scorre, la narrazione ci porta sulle tracce di femmine volitive, cosmopolite, straordinarie: la statunitense Meta Brevoort, le francesi Marie Paillon e Micheline Morin, le inglesi Kate Richardson, Anna ed Ellen Pigeon, l’irlandese Elisabeth Main Aubrey Le Blond.
“Pratico l’alpinismo perché è il regno della libertà, uno dei rari campi dell’attività umana in cui ciascuno può agire come vuole ed esprimere la sua personalità. Non che questo sia scontato per una donna” scrive Micheline Morin, che si vanta di compiere “le ascensioni più impegnative in cordata di sole donne”. È lei stessa a narrare della reazione di una zia di Elisabeth le Blond quando si venne a sapere che aveva scalato il Monte Bianco: “Fatela smettere!” scrisse ai familiari, “sta scandalizzando tutta Londra, e poi assomiglia a una pellerossa” alludendo all’abbronzatura d’alta quota della nipote. Stiamo parlando degli anni fra fra il 1880 e il 1900, lo stesso periodo in cui le sorelle carniche Angela, Minetta e Anna Grassi compaiono come meteore nelle cronache alpinistiche grazie al geografo Giovanni Marinelli.
Scalavano, le Grassi, in gonne lunghe e stivaletti. Più strategicamente, al momento di affrontare la roccia, Lizzie Le Blond si toglieva le sottane e ostentava maschili pantaloni alla zuava. Ma al rientro si rimetteva il vestito: che una donna si facesse scalatrice poteva passare, che indossasse i pantaloni giammai! —
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