Famiglie perseguitate e auto incendiate: ecco chi sono gli imprenditori arrestati
Incendiari e stalker, secondo la procura. E così hanno rischiato di finire in carcere. Ma gli è andata bene, almeno per ora: il gip ha negato la misura estrema concedendo gli arresti domiciliari a padre e figlio, il 67enne Silvano Arcolin di Campodarsego, in via Fratina, e il 35enne Teo Arcolin, residente a Vigodarzere in via Donazzan, titolari della ditta di trasporto “Rosetta Maschio”, accusati di un doppio incendio doloso e vari episodi di atti persecutori nella frazione di Peraga di Vigonza, in via Rigato, dove aveva sede l’impresa.
Una via dove ha regnato il terrore fino a sabato mattina, 19 ottobre, quando i carabinieri di Pionca di Vigonza, del Norm e del Nucleo investigativo del comando di Padova hanno messo a segno una perquisizione nell’abitazione dei due, facendo scattare il provvedimento restrittivo della libertà personale.
[[ge:gnn:mattinopadova:14267998]]
Già perché, a quanto emerso dall’inchiesta, padre e figlio avevano già pronto l’elenco delle prossime vittime e, in testa, c’era ancora lui, il geometra Enzo Ferrara, responsabile dei settori Urbanistica, Attività produttive, Edilizia e Gestione del territorio del Comune vigontino. Poco importa se erano già state bersaglio della loro violenza.
«Ghe a faxemo pagare... Bisogna brusarghe tuto», gli sfoghi tra i due che, via telefono o di persona, parlavano a ruota libera ignari di essere intercettati, mentre i loro cellulari sono risultati agganciati alle celle della zona quando si sono verificati gli incendi.
Nel mirino era finito anche il sindaco Gianmaria Boscaro che, tre settimane fa, aveva ottenuto la vigilanza notturna fissa davanti all’abitazione di famiglia in centro a Vigonza, con una pattuglia dell’Arma presente dalla mezzanotte alle cinque di mattina. È a quel punto che il pubblico ministero padovano Francesco Lazzeri si è preoccupato. E, temendo il peggio di fronte a una serie di indizi pesanti già raccolti, ha formalizzato la richiesta di spedire in carcere i due.
Il gip Maria Luisa Materia ha optato per la scelta più soft, ritenendo sufficienti gli arresti domiciliari senza il braccialetto elettronico. Martedì 22 ottobre, alle 12.30, l’interrogatorio di garanzia nel Palazzo di giustizia di Padova: a difendere gli indagati il penalista Ernesto De Toni e l’avvocata Valentina Bassan.
Le misure sono state giustificate dal rischio di reiterazione dei reati, in particolare per quanto riguarda l’incendio doloso. I sospetti erano da tempo concentrati su padre e figlio che hanno sempre negato con forza in pubblico, eppure in privato parlavano senza sosta di fuoco e minacce. E sembravano non aver pace, manifestando una carica di rabbia difficilmente contenibile.
Le contestazioni
Nell’ordinanza si contesta agli Arcolin la pianificazione e la partecipazione ai due incendi avvenuti tra maggio e settembre. Il primo rogo si verifica la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio quando l’auto del geometra Ferrara e quella della moglie – una Bmw e una Renault Clio – sono distrutte dal fuoco nel cortile della loro casa che viene danneggiata. Un paio di mesi prima era stata incendiata pure la loro legnaia, posta sul retro dell’abitazione.
Da tempo il dirigente era minacciato e seguito, vittima di intimidazioni continue. Nei mesi precedenti il Consiglio di Stato aveva trasferito al Comune la proprietà di un’area a destinazione agricola comprata dalla ditta “Maschio” in occasione di un’asta.
Il motivo? I titolari avevano commesso un abuso edilizio mai sanato, creando un centro logistico (uno spazio per la sosta dei camion con un container a uso ufficio). La sentenza era arrivata al termine di un contenzioso che aveva coinvolto Tar e tribunale di Padova, concluso con l’ordine di cessare ogni attività artigianale su quel terreno, ripristinando lo stato dei luoghi.
Un contenzioso originato dalle proteste dei residenti contro quell’attività non autorizzata alle quali gli imprenditori avevano reagito con provocazioni e comportamenti aggressivi.
Le intimidazioni
Di più, fin dall’inizio del 2024 le minacce si erano moltiplicate perché la famiglia Arcolin non ha mai accettato il rispetto delle regole. Il 21 maggio scorso si è provveduto allo sgombero forzoso dell’area. E Silvano Arcolin non si era trattenuto: voleva dar fuoco a tutto.
Le intimidazioni agli abitanti della zona non sono venute meno. Nella notte tra il 15 e il 16 settembre nuovo rogo in via Rigato accanto all’ex sede della “Maschio” dove sono state carbonizzate un’Opel Astra e una Renault Zoe custodite nel garage della casa di una famiglia pesantemente danneggiata e ancora oggi inagibile.
La colpa? Aver denunciato l’abuso edilizio degli Arcolin come altre cinque famiglie, vittime delle loro persecuzioni. Chissà se oggi padre e figlio replicheranno.