Con la serie degli 883 i giovani scoprono motorini e cassette. Per gli over 50 nostalgia e amarcord
Nonostante i numeri da record, ai pavesi che hanno visto la serie sugli 883 non è sfuggito anche il più piccolo dettaglio. E, di conseguenza, soprattutto sui social – in particolare Facebook – non sono mancate diverse critiche, alcune anche molto accese, rivolte al “prodotto finito” e alla ricostruzione.
Sono infatti tanti coloro che hanno segnalato una serie di inesattezze e di errori: dalla divisa arancione di Max Pezzali quando guida l’ambulanza (che in realtà doveva essere blu) alla scritta “via Garibaldi” per indicare lo storico Corso, o al Liceo Copernico ricostruito in altri lidi (in particolare a Roma).
Senza dimenticare, a livello narrativo, che Pezzali era in realtà stato bocciato al Taramelli prima di approdare al Copernico, dove avrebbe poi conosciuto Repetto, e non viceversa.
E ora, anche a distanza di un anno, si sono rinfocolate le polemiche sorte in città durante le riprese dell’estate 2023, quando per circa un mese, tra giugno e luglio, si erano verificati diversi disagi alla viabilità per la chiusura di strade, che consentissero alla troupe della “Groenlandia” di effettuare le inquadrature più autentiche”possibili.
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«Una serie fresca» per Pallavicini
A spezzare una lancia in favore è invece lo scrittore Piersando Pallavicini. «Ammetto di essere stato prevenuto – spiega meglio raggiunto al telefono – io negli anni ’90 ascoltavo rock progressivo. Invece mi è parsa, per ora, una serie leggera, spiritosa e autoironica. Anche ben scritta. Non fa l’epica degli 883 ma si prende un po’ in giro. Ricostruisce l’atmosfera di quegli anni in cui la musica cominciava a non essere più necessariamente suonata. C’era anche un’idea dell’oggetto tecnologico, il campionatore, il registratore. E poi mi pare racconti bene l’arte di arrangiarsi, quello sgangherato improvvisare che era tipico della provincia anni ’90».
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Davanti alla tv si è seduto anche don Daniele Baldi protagonista di un cameo nella seconda puntata. «Abbiamo girato due giorni per realizzare pochi secondi – dice il parroco del Carmine – e mi ha permesso di capire come funziona il cinema. Racconta la storia di due ragazzi di provincia e ci insegna che possiamo coltivare i nostri sogni e magari anche raggiungerli. E poi vedere Pavia è sempre bello, bisognerebbe rivalutarla come merita e anche la città dovrebbe avere più consapevolezza dei suoi tesori. Capita spesso che vengano in chiesa visitatori che fanno commenti lusinghieri sulla città».
Per contro, sui social, c’è chi non risparmia critiche su Pavia – «una città che non si è mai valorizzata abbastanza» – e non si salvano nemmeno Max Pezzali, colpevole di «averla snobbata per molto tempo prima di celebrarla ora, tardivamente: in 30 anni di carriera forse solo un concerto nella sua città».
Eppure “Hanno Ucciso L’Uomo Ragno”, dai dati di Sky, starebbe letteralmente spopolando, grazie al gradimento del pubblico, pavesi compresi, generazione dopo generazione.
«Bello vedere la mia scuola in tv»
A cominciare da quella dei ventenni, alla quale appartiene Camilla Chieppi, classe 2000 che studia Arti Visive e Performative nell’ateneo pavese: «È stato molto bello vedere inquadrati i luoghi della mia quotidianità, come il bar Lux o come la mia scuola media del Franchi Maggi che qui diventa il Taramelli, ma soprattutto ho apprezzato come la serie riesca a descrivere in modo veritiero il modo di pensare pavese attraverso i suoi protagonisti, un amore-odio verso la propria città, che va a tutti un po’ stretta».
A rappresentare i 30enni è invece Pablo Colturi, classe 1986, che oggi vive a Trieste ma che a Pavia è nato e cresciuto: «Nella serie mi è molto piaciuto vedere una Pavia provinciale ma allo stesso tempo bellissima. Mi ha colpito notare quanto gli anni ’90 dei telefoni fissi, della tv e dei giri in motorino fossero così diversi dai giorni nostri dove tutto accade solo se accade su qualche app. Si tocca con mano quanto grande sia stato quel cambiamento che noi 30enni abbiamo vissuto per primi durante la nostra adolescenza, con i primi social network. Gli 883 rappresentano un po' i precursori di quella nuova era dove chiunque nella propria tavernetta poteva diventare un cantante senza saper suonare uno strumento. Ai tempi sembrava impossibile, oggi sono in tanti a provarci».
Sui social si parla anche del ritratto di Pavia, fatto nella serie: «Ho trascorso a Pavia quasi 20 anni. Una vita. Con la certezza che non sarei rimasta. Una città bellissima, affossata da chi la ama per principio, incapace di trovare un'identità nel mondo moderno – scrive Anna Tita Gallo, over 30 – In 20 anni non ho mai visto un progetto che facesse venire voglia di visitare Pavia quanto questa serie. A Pavia non c'è niente, "2 discoteche e 106 farmacie" ma le discoteche nel frattempo hanno chiuso. Centinaia di giovani si confrontano con questo niente e con la fame di andare via. Parlano soltanto di questo. Non c'è niente, niente, niente. Eppure quel niente è fatto di portici, mosaici, cortili nascosti e mattoncini che a volte danno l'idea di vivere in un villaggio. I Longobardi. Li senti nominare dal primo momento in cui metti piede in città. Ma non bastano a farti percepire qualcosa oltre il niente, qualcosa che buchi il cielo incolore e dia un tocco di vitalità a un quadretto che resta bellissimo ma tristemente immobile. In questo niente Einstein è stato mandato in punizione (ma è diventato Einstein anche per questo, o così pare). Da questo niente sono emersi tantissimi personaggi che hanno fatto la storia. In questo niente ho studiato in aule medievali tanto belle da restare incantati e fantasticare per ore. In questo niente ho incontrato amici indimenticabili e ho imparato la maggior parte di ciò che so fare. Sempre lamentandomi del niente. Perché dal niente bisogna scappare. Ma è nel niente che evidentemente la mente si attiva di più per trovare alternative. Un po' come accade nelle periferie delle grandi città, i microcosmi più sottovalutati di sempre. Ora lo guardo in tv, questo niente. È la parola più pronunciata della serie. E per la prima volta mi viene voglia di tornare a correre lungo quel Ticino sempre uguale, a guardare il cielo senza tinta e le casette del Borgo che sembrano un presepe immobile anche quello, neanche a dirlo. Questa serie è la migliore pubblicità che Pavia potesse avere. La migliore perché la più autentica. Come il barattolo di aria di Napoli che ho comprato dall'ambulante. Bastava capire che il niente era il punto di forza più grande in assoluto... e alla fine, se qualcosa nel cuore è rimasto, vuol dire che lo sapevamo tutti».