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Октябрь
2024

Medici e infermieri, paura in corsia. La psicologa: «Difendetevi, ma non fate gli eroi»

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«Non è normale pensare che il lavoro possa diventare un luogo pericoloso dove posso rischiare di essere aggredito». E ancora «Perché io che rischio di essere aggredito verbalmente o fisicamente devo andare incontro a chi si agita contro di me?».

I corsi di de-escalation

Sono queste alcune delle domande che gli operatori sanitari dell’ospedale di Belluno si pongono quando seguono i corsi tenuti dalla coordinatrice dell’unità operativa semplice di Psicologia Ospedaliera, Francesca De Biasi per la de-escalation delle tensioni.

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Corsi che l’Ulss 1 Dolomiti da diversi anni propone ai suoi lavoratori, sia dipendenti sia con contratti libero professionali.

Tutti coloro che operano all’interno delle strutture sanitarie bellunesi devono seguire un corso di addestramento per intercettare il malumore di chi si trovano davanti, evitando così atti di violenza. Un’operazione che è più facile a dirsi che a farsi, ma che si è resa necessaria visto l’aumento delle aggressioni nei confronti del personale sanitario.

Infatti, nel 2023, le denunce interne all’Ulss per aggressioni sono state 69, mentre nei primi nove mesi di quest’anno sono già 66. E anche se i due terzi di queste denunce riguardano episodi di violenza verbale, non vanno certo sottovalutati.

Dal 2016, l’azienda ha deciso di tenere questi corsi di formazione che poi si sono via via perfezionati quando la stessa Regione Veneto è intervenuta per definire meglio le modalità e la struttura delle lezioni.

«Ma ad ogni corso ci aggiungo sempre qualcosa di nuovo per rendere meglio l’idea di quello che i sanitari possono trovarsi davanti», precisa De Biasi, «come facendo intervenire un negoziatore dei carabinieri».

Il post Covid

La specialista non può però non evidenziare come «dopo il Covid le denunce di aggressioni sono aumentate. Non so dire se la pandemia abbia portato in evidenza malumori e rabbia prima latenti nelle persone, resta il fatto che comunque c’è anche una maggiore sensibilità da parte degli operatori sul tema».

I fattori scatenanti

Ma quali sono le circostanze che scatenano gli animi dei pazienti? «Molto spesso le persone si agitano perché non si sentono comprese fino in fondo nel loro dolore, nella loro sofferenza e pensano che sia stata data poca importanza a quello che provano in quel momento. Ricordiamoci», spiega la psicologa, «che chi entra in un ospedale ha un problema di salute, sta male. Oppure si devono gestire pazienti che sbagliando la data di un appuntamento arrivano al reparto o all’ambulatorio pretendendo di fare la visita. In questi casi è necessario che l’operatore faccia comprendere al paziente che ha davanti di aver capito fino in fondo il suo disagio e il suo dolore. Bisogna cercare, chiamando la persona per nome, di creare un rapporto».

Ma come si comprende che una persona sta per “scoppiare”? «Si capisce dal volto, dalla voce, dai movimenti. Per cui si deve fare ricorso a tecniche che uno non può imparare solo sentendole, ma devono essere provate», dice Francesca De Biasi.

Le simulazioni

Ed è qui che tra le tecniche psicologiche si ricorre al gioco dei ruoli.

Durante i corsi si mettono in scena con i dipendenti alcune situazioni-tipo in modo tale che vivendole, seppur per finta, il sanitario possa già assimilare alcuni meccanismi che poi dovranno scattare in automatico.

L’obiettivo è la sicurezza

Sì, perché l’obiettivo finale è far capire al lavoratore che non deve fare l’eroe. La cosa principale è la sua sicurezza.

«Per cui se una persona è tanto esagitata o brandisce qualcosa in mano, la prima cosa è non rimanere da soli, chiamare qualcuno, e se serve chiudersi in una stanza. La divisa di noi operatori sanitari è bianca e siamo disarmati per cui non possiamo metterci a rischio».

Il post aggressione

Prima che si registrasse l’episodio dell’aggressione di Agordo, «ho pensato di introdurre una novità in tutto il procedimento per il superamento del trauma», spiega ancora la psicologa. «Dopo la denuncia del fatto e l’invio dell’incident reporting alla Regione, proprio due settimane fa ho deciso di somministrare alle vittime un questionario in cui possano apparire chiare le loro condizioni fisiche ma anche psicologiche per dare loro un supporto», dice De Biasi.

Spesso infatti la vittima soffre di stress post traumatico: non riesce a dormire perché rivive la violenza, o arriva al lavoro tremando o è preda dell’ansia.

E l’idea pare essere apprezzata visto che due operatori vittime di violenza hanno già evidenziato la necessità di un supporto.