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“Mesi da incubo in Libia, tra botte e schiavitù. Fatemi almeno avvisare la famiglia”: le voci dei migranti rinchiusi nel centro in Albania

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“Quella sera potevamo vedere le luci di Lampedusa: terra. Se avessi saputo che ci avrebbero portato a bordo di quella nave per trasferirci in Albania, mi sarei gettato in mare e avrei percorso a nuoto lo spazio che mancava”. È il racconto di uno dei quattro migranti rinchiusi da ieri sera nel Centro di trattenimento di Gjader, realizzato e gestito dall’Italia. Egiziano, anche lui giovane: ha trascorso l’ultimo anno tra violenze, schiavitù, riscatti pagati dalla famiglia pur di arrivare in Italia. Anche gli altri giovani incontrati dai parlamentari di opposizione, arrivati in visita all’indomani dello sbarco della nave Libra per il primo trasferimento, ha fatto racconti da incubo ed espresso concetti chiari: “Io ringrazio gli italiani perché mi hanno salvato la vita in mezzo al mare, ma adesso portatemi là, non mi lasciate in Albania, io voglio lavorare e aiutare la mia famiglia”. Un altro si sarebbe ricongiunto con dei parenti, insomma.

Storie diverse ma con un unico comune denominatore: via dalla follia libica per una nuova vita. Per loro non sarà facile, molto dipenderà dalla decisione del tribunale di Roma che entro venerdì sera dovrà procedere o meno alla convalida della richiesta di protezione dei 12 rimasti in un’ala del Cpr: “Una prigione nella prigione” è stata l’impressione provata sulla propria pelle da Riccardo Magi (+Europa), Rachele Scarpa e Paolo Ciani (Partito Democratico) e Francesca Ghirra (Verdi-Sinistra) dopo la visita all’interno del sito di Gjader durato quattro ore e mezzo. “Se già il reticolato alto sette metri e il senso di oppressione del centro rendono bene l’idea della scelta sbagliata fatta dal governo nell’accordo con Tirana, la sezione del Cpr è angosciante – racconta Magi – Le reti anche alle finestre oltre a quelle che avvolgono tutto il perimetro non lasciano margini di pensiero. Avendoli visti di persona questi ambienti, siamo sempre più convinti che si tratti di veri e propri lager. Paradossalmente la parte migliore è quella detentiva (i 24 posti vigilati a turno da 45 agenti di polizia penitenziaria italiana in trasferta, ndr.), e con questo diciamo tutto, ma quanto meno lì vige un regolamento penitenziario. Certo, resta da capire dove verranno scontate le pene, in Italia o in questa sezione distaccata di Regina Coeli? Tutto, per ora, è lasciato al caso. Chi aveva il passaporto è stato portato a Lampedusa, gli altri sono qui. Abbiamo ascoltato le storie terribili di quattro ragazzi, tre egiziani e uno del Bangladesh, le solite che emergono dopo i salvataggi. Quanto detto da loro basterebbe a far scattare il via libera alla richiesta di protezione e di asilo, ma queste storie non sono state prese in considerazione dalle nostre autorità”.

Periodi lunghi di lavoro in schiavitù passati in Libia, da quattro mesi fino a due anni: “Siamo stati rapiti – hanno raccontato i migranti (7 bengalesi e 5 egiziani quelli rimasti) ai Parlamentari -abusati, torturati. Siamo fuggiti e poi la polizia e le bande ci hanno riacciuffato, i passaporti presi e stracciati. Le nostre famiglie, per essere liberati, hanno dovuto pagare riscatti molto alti”. Uno di loro, un egiziano, doveva essere mandato in Italia ieri assieme agli altri in quanto soggetto vulnerabile, sarebbe stato il quinto a lasciare l’Albania, poi all’ultimo momento le autorità italiane hanno deciso di tenerlo a Gjader: “I miei carcerieri, durante la detenzione, mi hanno picchiato, preso a bastonate e anche a colpi di kalashnikov in faccia. È successo settimane fa, ma ancora porto i segni” ha raccontato col volto tumefatto il nordafricano. Un altro, durante le ore del colloquio con i deputati di opposizione, non ha smesso un attimo di piangere, tanto da chiedere il sostegno dello psicologo: “Datemi la possibilità di chiamare la mia famiglia, vi prego, devo comunicare con loro, dirgli che sto bene e che purtroppo mi hanno portato in Albania e non in Italia. Il cellulare me lo hanno portato via in Libia e se non li avviso possono temere il peggio, li devo tranquillizzare almeno”.

I due soggetti cosiddetti ‘vulnerabili‘ a causa di problemi di salute, avevano problemi di natura psicologica, provati dagli incubi vissuti in Libia. Quelli rimasti non stanno meglio, nonostante il racconto stilato da uno degli operatori di Medihospes, l’organizzazione che coordina l’attività umanitaria dei centri per conto del governo, all’esterno del sito di Gjader: “I 12 migranti stanno bene, bevono il caffè, fumano una sigaretta e non hanno problemi” sono le parole riservate ai cronisti dall’operatore. In realtà lo scenario emerso dopo la visita di Magi, Scarpa e Ciani è di tutt’altro tenore. Medihospes è stata scelta proprio dal governo Meloni per gestire l’emergenza migranti sotto il profilo logistico all’interno dei centri: quelli in Italia già esistenti, quelli che saranno attivati a breve e infine hotspot e Cpr in Albania.

i quattro migranti portati in Italia sono sbarcati dalla Libra stamattina al porto di Brindisi. A proposito del pattugliatore della Marina Militare, a bordo pare non fosse presente l’unità Usmaf, la sezione di sanità marittima del ministero della Salute, che avrebbe potuto effettuare controlli più approfonditi, evitando la figuraccia di doverli riportare in Italia: “Siamo certi che oltre al personale della questura ci fossero funzionari dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, osservatori dell’Unhcr e mediatori culturali- hanno aggiunto i tre parlamentari -. A bordo della nave della marina sono stati effettuati questi pre-screening in alto mare, l’aspetto più oscuro di tutta questa vicenda. Chi li ha autorizzati? Ci sono tanti punti oscuri che l’incontro odierno col personale del ministero dell’Interno non ha chiarito. Chiederemo i tracciati dei percorsi delle imbarcazioni che hanno portato i 16 migranti a bordo della Libra. In base alle testimonianze degli stranieri, il rintraccio e il salvataggio sarebbe avvenuto vicino alla costa di Lampedusa. I dubbi restano rispetto alle versioni fornite; è un punto delicato e sensibile, ma se confermato sarebbe una grave violazione”.

L'articolo “Mesi da incubo in Libia, tra botte e schiavitù. Fatemi almeno avvisare la famiglia”: le voci dei migranti rinchiusi nel centro in Albania proviene da Il Fatto Quotidiano.