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La sperimentazione sugli animali: oltre i miti populisti i princìpi delle 3R

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Uno degli incontri di Trieste Next, di recente in piazza Unità è stato dedicato alla sperimentazione animale, un tema in altre occasioni spinoso, talvolta male interpretato e spesso gridato. Un grazie agli organizzatori, invece, per il coraggio di averlo presentato al pubblico di Trieste con un taglio pacato e obiettivo.

Insieme a me sul palco c’erano Roberto Sitia, professore dell’Università Vita e Salute del San Raffaele a Milano e Giuliano Grignaschi, responsabile del benessere animale dell’Università di Milano, moderati con equilibrio ed esperienza da Daniela Picoi. Lo spunto è stato un libro a firma di Sitia e Grignaschi sul tema, appena pubblicato da Einaudi con il titolo “Io le patate le bollo vive”. La frase è di Rita Levi Montalcini in risposta a un facinoroso attivista contro la sperimentazione animale che voleva estorcerle un commento sulla necessità di rispettare una presunta coscienza autonoma anche dei vegetali.

La discussione sulla sperimentazione animale di fatto si articola in due domande in sequenza. La prima: ne abbiamo davvero bisogno? E se la risposta è affermativa: come dobbiamo metterla in atto?

La risposta alla prima domanda non può che essere affermativa. È troppo vasta la complessità degli esseri viventi per essere riprodotta in modelli cellulari semplici o mediante simulazioni al computer. Il funzionamento di un organismo come quello umano (o quello animale stesso), le malattie che presenta, la sperimentazione dei farmaci non possono essere riprodotte in laboratorio. Almeno per il momento.

I progressi nelle colture dei tessuti, la creazione di organoidi (compresi quelli per il cervello) a partire dalle cellule staminali, i chip che contengono cellule diverse che mimano i rapporti tra i diversi organi, nonché l’utilizzo dei computer, compresa l’intelligenza artificiale, per riprodurre relazioni complesse, sono tutte tecnologie che stanno facendo passi da gigante. Programmi di finanziamento dei diversi Paesi e della Commissione Europea finanziano queste ricerche proprio per cercare di ridurre l’utilizzo degli animali. Ma siamo ancora lontani da aver raggiunto questo traguardo. E sarebbe ben lontana dall’essere sicura l’iniezione di un farmaco in un essere umano senza che questo sia stato provato negli animali.

Il problema, quindi, diventa quello di capire non se, ma come la sperimentazione sugli animali deve essere condotta. Qui sfatiamo immediatamente un mito populista: la vivisezione non esiste. Forse esisteva qualche secolo fa, oggi non è nemmeno concepibile, e in nessuna parte del mondo.

Il termine continua a far parte di uno slogan che magari fa presa, ma certamente non riflette la realtà. La sperimentazione sugli animali è oggi una delle attività più ristrette, controllate, regolate e vigilate che siano condotte nei laboratori di ricerca.

Tutti i Paesi hanno legislazioni molto restrittive (in Europa, tutti i Paesi dell’Unione adottano una propria legislazione nazionale modellata strettamente su una normativa europea). Ogni protocollo di ricerca deve passare il vaglio di comitati successivi di valutazione, che ne garantiscono sia la reale utilità (l’informazione che vuole essere ottenuta è realmente rilevante? Può essere ottenuta con metodi alternativi? Garantiscono i ricercatori uno standard di eccellenza adeguato?) sia l’aderenza con le procedure approvate.

In Europa, Stati Uniti, Regno Unito, ma anche nei principali Paesi asiatici (Cina e India inclusi) e latinoamericani, i principi ispiratori sono quelli delle 3R, ovvero Rimpiazzare, Ridurre e Rifinire, introdotti da Russell e Burch già nel 1959. Il concetto di Rimpiazzare è quello di usare i metodi alternativi discussi sopra, quando questo sia possibile. Ridurre si riferisce all’utilizzo del numero minimo di animali che possa fornire una risposta statisticamente valida.

Gli animali non devono essere di più del minimo numero indispensabile, ma neanche di meno, perché altrimenti il dato rientra nell’ambito dell’aneddoto e non garantisce la riproducibilità; anche in questo caso, gli animali sarebbero stati sprecati. La R di Rifinire si riferisce invece all’utilizzo di metodi che rendono minima la sofferenza degli animali e migliora il loro benessere. Oggi le gabbie in cui anche topi e ratti sono tenuti sono dotate di cunicoli, tane, oggetti usati come giocattoli per diminuirne lo stress. Gli stabulari hanno orari di luce e buio simili a quelli trovati in natura per ciascuna specie, i rumori sono ridotti al minimo, e l’osservazione degli animali, specialmente quelli operati, impegna i ricercatori e gli addetti agli stabulari almeno tre volte al giorno per diversi giorni dopo l’intervento.

Osservava Grignaschi, nel corso dell’incontro, che ogni anno in Italia sono circa 500mila gli animali utilizzati nella sperimentazione animale, ma oltre 2 milioni quelli uccisi nelle campagne di derattizzazione, senza che peraltro nessuno abbia da obiettare su questi ultimi. Un esempio stridente di come talvolta la discussione su questi temi non sia animata da un desiderio genuino di confrontarsi e migliorare, ma provenga da posizioni ipocrite e preconcette. —

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