ru24.pro
World News in Italian
Октябрь
2024
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31

Olio 2024: poco, ma ottimo

0

La bruschetta ci toccherà di farla «alla spagnola». Siamo il popolo che consuma più olio extravergine di oliva al mondo - circa 12 chili a testa - e un tempo, che pare ormai remoto, eravamo anche i primi produttori. Quest’anno saremo, se va bene, quinti in classifica: è un’annata «di scarico», come si dice tra frantoiani. Colpa della siccità al Sud, onda lunga della Xylella, ma anche di una profonda incultura sull’olio. Una ricerca dell’Unaprol, rilanciata dall’Accademia dei Georgofili, avverte come metà dei consumatori non sia in grado di riconoscere un prodotto di qualità e come appena il 2,3 per cento della spesa alimentare sia destinata all’acquisto di olio che si fa - in un terzo dei casi - direttamente dal frantoio.

Così accade che da una parte ci sia poca disponibilità a investire nell’acquisto di oli di qualità e dall’altra una fortissima dipendenza dall’estero; noi consumiamo 500 mila tonnellate all’anno, ne vendiamo all’estero circa 130 mila e dobbiamo importare il 78 per cento dell’olio che ci serve. Secondo i calcoli - attendibili - dell’Ismea abbiamo perso 200 mila ettari in 20 anni e siamo ormai sotto il milione di ettari piantati a olivo. Considerando anche le olivete monumentali, plurisecolari che sono una caratteristica imprescindibile del nostro paesaggio e un presidio di coltivazione cruciale per evitare che l’Appennino frani a valle.

Chi guarda solo all’olivo come pianta produttiva sostiene che si dovrebbe passare al metodo spagnolo: coltivazione iper intensiva, in pianura, trasformando l’olivicoltura in frutticoltura.

La Spagna conosce però solo 80 cultivar, da noi i «tipi» di olive registrati sono 500 e sono legati ai diversi territori. Forse la strada è la massima qualità nella massima riconoscibilità, convincendo il consumatore che non tutti gli oli sono uguali. Questo percorso lo ha cominciato tanti anni fa Barbara Alfei, funzionaria della Regione Marche, che ha lanciato il primo concorso per gli oli monovarietali. È stato un enorme successo e oggi i migliori oli italiani che mettono in bottiglia il dialetto dei paesaggi vincono tutti i concorsi mondiali. Enrico Lupi - presidente d’onore dell’Associazione Città dell’olio che ha guidato per un ventennio - da anni si batte per il riconoscimento delle olivete storiche. Sua la legge del tappo anti-rabbocco (non consente di taroccare l’olio confezionato), sua l’iniziativa di lanciare i ristoranti dell’olio e l’olio-turismo per sostenere i produttori. Perché un altro limite italiano è la dimensione delle aziende: 11 ettari in media contro i 34 spagnoli. «È indispensabile» sostiene Lupi che dall’8 all’10 novembre organizza la manifestazione Olioliva a Imperia, «incrementare il reddito dei coltivatori, convincere i consumatori che l’olio non è solo un condimento, valorizzare il rapporto paesaggio-qualità e puntare sulla diversificazione dell’offerta».

Lo sanno bene nel Ponente ligure, dove l’oliva taggiasca - introdotta dai monaci benedettini - è esplosa come oliva da tavola. Lo hanno capito gli americani che con tanto di bollo della Food and drug administration hanno designato l’extravergine come alimento-farmaco e per i nostri oli di altissima qualità quello statunitense è il primo mercato. Perché il business comunque c’è: l’olio d’oliva vale oltre 3,5 miliardi di euro. Anche in un anno «di scarico» qualcosa si muove: gli extravergine di qualità hanno cominciano ad avere un mercato simile a quello del vino ed è diventato un prodotto al femminile perché tantissime sono le imprenditrici che hanno scommesso sull’olivo.

Mariella Organi, migliore maître d’Italia e moglie dello chef Moreno Cedroni, da anni offre ai clienti pane ed extravergine alla Madonnina del Pescatore di Senigallia come segno di benvenuto e in moltissimi ormai la imitano. Eppure ci tocca di guardare il mondo dal basso in alto. La Spagna raddoppia la produzione dello scorso anno arrivando a 1,6 milioni di tonnellate. Ci superano la Tunisia (370 mila tonnellate), la Turchia (320 mila) e persino la Grecia che ha avuto problemi di siccità molto superiori ai nostri arriverà a produrre 270 mila tonnellate. Noi, se va proprio bene, toccheremo le 240 mila tonnellate, che significa un quarto meno del 2023.

Eppure c’è chi come Matteo Frescobaldi - il più giovane della dinastia fiorentina dei grandi produttori di vino - ha fatto dell’extravergine un brand assoluto sfruttando l’intuizione di Bona Frescobaldi di creare attorno ai loro extravergine il marchio Laudemio, che oggi ha un vissuto simile a quello dei profumi da leggenda francesi. Donne e olio è il binomio vincente. Dice Maria Rosaria Trama, professoressa di latino e greco, titolare con la famiglia de Le Colline di Zenone ad Ascea in Cilento, «l’extravergine è un prodotto di cultura: noi qui leggiamo il filosofo Zenone, mettiamo in scena teatro greco per i turisti che si riappropriano dell’anima mediterranea. Le nostre piante di varietà Pisciottana (sono gigantesche!) ci danno anche quest’anno un olio di grandissima qualità e riconoscibilità. Per noi è un’ottima annata».

Va bene anche in Toscana. «Sono contenta sia della vendemmia che della bacchiatura delle olive» dice Fiorella Lenzi, produttrice di alta qualità nell’incanto maremmano di Massa Marittima, «è stata un’annata complicata, ma anche se si produce meno i risultati sono appaganti».

Stesso discorso vale per l’Adriatico: a Recanati dove le sorelle Gabrielloni gestiscono un frantoio storico e un agriturismo di fascino leopardiano. «Noi siamo rimaste legate al frantoio con i fiscoli» dice Elisabetta Gabrielloni «perché amiamo il profumo dell’olio spremuto: la qualità quest’anno è altissima». Parlare nelle Marche di frantoio è d’obbligo perché qui c’è Pieralisi il più importante produttore al mondo di macchine olearie. Nel mondo quasi tutti i frantoi hanno meccanica italiana – un distretto che vale oltre 10 miliardi - che con una ricerca costante ha migliorato le produzioni anche se Elisabetta Gabrielloni difende il sistema tradizionale.

Il Pnrr ha stanziato 100 milioni per migliorare i frantoi, segno che l’Italia torna a puntare sull’olivicoltura. E in Italia ce ne sono 4.300 - in Spagna siamo sotto i duemila - perché si tende a «frangere» in prossimità per evitare effetti fermentativi. «Per chi coltiva è un vantaggio avere il frantoio di affezione» sostiene Luciana Cerbini Picuti, già avvocato matrimonialista che ha lasciato le carte bollate per curare i suoi piantoni di Casa Gola a Bevagna (PG) da cui ricava l’extravergine «best» per gli americani, «anzi è garanzia che la qualità che noi produciamo in campo si trasferisce nella bottiglia. Quest’olio è un prodotto di altissimo artigianato agricolo e di assoluto valore culturale. Per il 2024 non ne avremo molto, ma qui a Bevagna è eccezionale».

L’Umbria peraltro è una sorta di paradigma dell’extravergine. Marco Bencivenga sta lavorando da anni per ottenere il riconoscimento Unesco della fascia olivata che va da Assisi a Spoleto: quasi 60 chilometri di colline interamente ricoperti di olivete storiche con piante che hanno più di mille anni. Qui Chiara Lungarotti - grandi vini - custodisce nel suo museo dell’olio, il più importante d’Europa a Torgiano una memoria antica di tremila anni tra anfore, crateri, lanterne, archeologia dell’extravergine.

Nell’area, infine, convivono «gioiellieri» quali Viola a Foligno o Marfuga, campione del mondo a Campello sul Clitunno, e campioni come i Farchioni di Giano dell’Umbria o Monini che ha fatto di Spoleto una capitale mondiale dell’olio. Proprio Zefferino Monini, spiazzando tutti, ha sostenuto che quest’anno data la grande produzione mondiale i prezzi scenderanno del 40 per cento. Difficile dirlo almeno per i 43 Dop d’Italia e per le produzioni di nicchia che usano solo cultivar territoriali. Valentino Carta da Oliena, dove c’è la «nera» un gioiello assoluto tra i prodotti sardi, afferma: «Produzione scarsa, ma ottima: contenere i prezzi per chi coltiva qui nella Barbagia ai piedi del monte Corrasi, con costi altissimi ed enorme fatica, è condannarsi all’abbandono delle piante».

Per una bruschetta italiana (leggere bene le etichette è un problema: sono poco chiare, ma Bruxelles non vuole cambiarle e l’extravergine si può fare con olive Ue e non Ue oppure con sole olive nazionali, eppure c’è una enorme differenza tra un extravergine e un vergine) ci vorranno non meno di 15 euro al litro quest’anno. Volendo risparmiare, però, c’è sempre la Spagna. n

© riproduzione riservata