Viola Ardone racconta il mezzomondo dei matti con una voce da fantasy
Elba ha quindici anni ed è nata nel “mezzomondo”, ovvero il manicomio: anche se non è pazza non è mai uscita nel “mondo di fuori”, dove ci sono i “mica matti”.
Per lei e sua madre il manicomio è casa, finché non arriva un medico pronto a cambiare il suo piccolo universo sulla scorta delle idee di Franco Basaglia: siamo nella Napoli del 1982.
Lo racconta “Grande Meraviglia”, edito da Einaudi, l’ultimo romanzo di Viola Ardone che l’autrice presenterà sabato alle 18.10 al Magazzino delle Idee, nell’ambito del festival Barcolana – Un mare di racconti. Prima di lei gli incontri con Alberta Basaglia e Giulietta Raccanelli (16.30), Vanna Vinci e Francesca Diotallevi (17.20), mentre alle 19 ci sarà Emanuele Trevi.
Ardone prosegue la sua esplorazione letteraria della storia del secondo Novecento: «In “Olivia Denaro” parlo della donna che inizia a rivendicare i suoi diritti, ne “Il treno dei bambini” dei bimbi poveri del dopoguerra: anche questo romanzo riguarda gli ultimi della fila a cui nessuno aveva dato voce prima della rivoluzione basagliana, i matti. Una bellissima storia di riscatto anche alla luce della contraddizione tra un’idea bella e lungimirante di cura e di inclusione, e le difficoltà quotidiane nel realizzarla».
Nel suo lavoro di ricerca per il libro ha incluso anche Trieste?
«Ho studiato la rivoluzione psichiatrica, ovviamente l’esperienza di Gorizia e Trieste, ma anche quella napoletana: negli stessi anni c’era una scuola agguerrita di psichiatri, in particolare Sergio Piro che aveva lavorato con Basaglia. Quell’avanguardia basagliana ha avuto a Napoli una eco fortissima».
Il dottor Meraviglia sacrifica il suo privato per i “suoi matti”: è accaduto a molti psichiatri dell’epoca?
«Mi interessava lo spirito di quella generazione: erano persone che pensavano di mettere in pratica un’utopia e dimostrare che forse utopia non era. La legge Basaglia all’inizio era quasi una scatola vuota, ha avuto bisogno della pratica degli psichiatri. Molti di questi uomini e donne avevano una personalità a loro volta piena di contraddizioni, hanno dato tutto per la causa, alcuni hanno rischiato la galera».
Un’eredità che oggi, a cento anni dalla nascita di Basaglia, si sta di nuovo perdendo?
«Oggi la situazione psichiatrica è drammatica, si stanno ricostruendo forme manicomiali differenti. Se non esistono progetti di reinserimento e cura, la soluzione delle famiglie è ricorrere a istituti che riproducono quelle forme anche se con mezzi di contenzione non fisica, ma farmacologica. Sono tanti i fronti sui quali diamo per scontate le conquiste fatte tra il ‘68 e il ’78: si rischia di tornare indietro».
Elba pensa che anche il “mondo di fuori”, la vita “normale” sia una prigione…
«Il discorso su cosa sia normale e anormale viene usato anche oggi come arma di propaganda: ci si riferisce all’eterosessuale e all’omosessuale, all’italiano e allo straniero, ma è solo un modo per categorizzare. E ognuna di queste categorie è un “mezzomondo” perché presuppone una prigione. La libertà non è avere la porta aperta, ma qualcuno che ti insegni ad immaginare dove andare».
Elba scrive un diario: la voce narrante ha il tono di un romanzo fantastico...
«Elba apprende l’italiano dalla televisione, risente della cultura pop degli anni ’80 e del linguaggio affettuoso condiviso con la madre. Volevo una stonatura, un linguaggio quasi da fantasy per descrivere gli orrori: non mi piace utilizzare il classico lessico del dolore, voglio prendere il lettore per mano e fargli attraversare argomenti duri da una prospettiva praticabile».
Elba trova le schede di donne internate perché “indocili”, “stravaganti”…
«Le donne partivano in svantaggio anche nell’ingiustizia del manicomio. C’erano mogli internate perché “impazzite” all’improvviso: basti pensare alla prima compagna di Mussolini, Ida Dalser, chiusa in manicomio insieme al figlio. Leggendo le carte d’archivio mi sono resa conto che questa “pazzia femminile” era solo il modo per tradurre un desiderio di autonomia e libertà, o il modo da parte di un uomo di liberarsi di una donna che non serviva più».
Il treno dei bambini è diventato un film che debutta tra poco alla Festa del Cinema di Roma...
«Gli sceneggiatori sono Giulia Calenda e Furio Andreotti, gli stessi di Paola Cortellesi. Sono stata coinvolta dopo ogni stesura. Ho già visto una prima versione e mi sono emozionata moltissimo perché è un film che non tradisce il libro, ma ha una sua assoluta autonomia: non avevo dubbi con una regista come Cristina Comencini». —