Imprenditore edile minacciato da un operaio armato di pistola
Due operai edili kosovari residenti a Trieste sono ricercati con l’accusa di aver estorto migliaia di euro a un connazionale titolare di due ditte di costruzioni: l’uomo è stato minacciato di morte con una pistola. Lui e la sua famiglia. I due sono latitanti da maggio, dopo che erano stati arrestati in via Pascoli grazie a una trappola tesa dai Carabinieri: avevano trascorso alcuni giorni in cella, poi sono stati ristretti ai domiciliari. Ma sono fuggiti. Il caso è stato discusso in udienza preliminare davanti al gup Luigi Dainotti nonostante la latitanza.
L’estorsione
I due latitanti sono il venticinquenne Arlind Stullca e il trentasettenne Shkelzen Mazreku. Il 17 gennaio avevano costretto l’imprenditore kosovaro a consegnare prima 30 mila e poi 50 mila euro in contanti. Era stato Stullca ad aver approcciato il professionista, rivelandogli di essere un «intermediario di ignoti» che per suo tramite pretendevano i soldi «entro tre giorni».
L’incontro e la pistola
Il pomeriggio del 17 gennaio il venticinquenne Stullca e l’imprenditore si incontrano davanti a un supermercato. I due si conoscono perché non molto tempo prima il giovane aveva chiesto all’altro di assumerlo in una delle sue ditte.
Ma il motivo dell’appuntamento di quel pomeriggio stavolta non è la necessità di trovare un lavoro: l’uomo pretende soldi in contanti entro tre giorni. Dice di agire per conto di «mandanti» e accompagna la richiesta esibendo alcune foto della moglie e dei figli dell’imprenditore tratte dal suo profilo Facebook. Poi estrae dal marsupio una pistola e la scarrella più volte, senza puntargliela addosso. Nei giorni successivi la vittima riceve continue intimidazioni via messaggio, tra cui una foto con una bottiglia incendiaria. «Se non vuoi darmi quello che chiedo ammazzo te e la tua famiglia», si legge in uno dei messaggi.
La trappola
L’imprenditore va dai Carabinieri e racconta quanto gli sta succedendo. Parte un servizio di intercettazioni urgenti. Nel frattempo l’estorsore e l’imprenditore si accordano per un altro appuntamento: decidono per il primo pomeriggio del 22 gennaio, all’interno di un furgone posteggiato in via Pascoli. Ma è un’esca: i militari dell’Arma nascondono un microfono addosso alla vittima – evidentemente istruita a dovere dai Carabinieri – e ascoltano la conversazione, pronti per l’agguato. Sono le 13.57 quando l’imprenditore sale sul furgone. Con sé ha la busta piena di soldi, impacchettata con vari giri di nastro per dare il tempo ai militari di intervenire. E così è: i Carabinieri fanno irruzione e arrestano l’uomo. Durante la perquisizione, oltre alla busta, trovano anche un grammo di cocaina.
Il complice
Stullca non ha ordito l’estorsione da solo, ma con la complicità di Mazreku: i militari rintracciano e fermano quest’ultimo due ore dopo in piazza Garibaldi. È da una sua utenza rumena che erano partiti molti messaggi minatori. Ed è lui che Stullca contatta non appena acquisiti i soldi dall’imprenditore dentro al furgone.
Il gip Massimo Tomassini, che dopo la detenzione aveva disposto i domiciliari per entrambi (Stullca è difeso dall’avvocato Andrea Cavazzini e Mazreku dall’avvocato Enrico Miscia), si è chiesto se i due avessero agito per bisogno di soldi, per regolamenti di conti o per accreditarsi in un contesto criminale. Ora sono fuggiti, forse all’estero. Ma sono stati comunque rinviati a giudizio dal gup Luigi Dainotti con il decreto di latitanza. —
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