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Октябрь
2024

Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dal 10 ottobre

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IDDU | ALL WE IMAGE IS LIGHT | FAMILIA | VITTORIA

IDDU – L’ULTIMO PADRINO

Regia: Fabio Grassadonia e Antonio Piazza

Cast: Elio Germano e Toni Servillo

Durata: 130’

Lo spettro che aleggia sul film, il fantasma che evoca “Iddu – L’ultimo padrino” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza senza nominarlo se non nel nome, Matteo, è il latitante per eccellenza, Messina Denaro.

Ambientando la vicenda nel 2004, i due registi ricostruiscono il legame tra un preside ed ex sindaco di Castelvetrano, in odore di mafia, perché amico del padre Francesco Messina Denaro, e Matteo: convinto dai dai servizi segreti, l’ex sindaco scrive una decina di lettere al capomafia.

Lo scambio epistolare permise agli investigatori di individuare la rete che favoriva la latitanza, ma la classica fuga di notizie nel 2006 rese pubblica la collaborazione dell’ex sindaco e il boss sparì sino al gennaio 2023.

Il carteggio (vero) fra i due fa emergere un ritratto psicologico di un narcisista infantile, con una patologia di esibizione, deve sempre mostrarsi superiore e migliore degli altri. Il cavallo di Troia che utilizza Catello è l’assenza del padre, figura chiave, che lo aveva sempre tenuto a bada dalle donne, punto debole del boss, come conferma il ritrovamento, dopo l’arresto, di 212 dvd tra cui l’intera prima stagione di “Sex & the City”.

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Elio Germano è Matteo, personaggio su cui il mistero rimane, “nella lettura dei processi e dei rapporti dei collaboratori di giustizia si descrive un persona per quello che è, ma “iddu” cambiava registro a seconda delle persone cui scriveva. E con la latitanza aveva assunto anche un’etica e questo ci deve preoccupare perché significa che ognuno è un criminale potenziale”, raccontano i registi.

Il personaggio di Toni Servillo aggiunge un tocco di ironia agrodolce all’immagine di Catello Palumbo, napoletano di Castellammare di Stabia, ex democristiano paludato e colluso, politico improbabile come il colore del suo riportino. Catello è, nella definizione del suo interprete, “un saltimbanco assediato dalla disperazione che utilizza una cultura da preside baroccheggiante di provincia, piccolo amministratore locale, che cerca di mettere a posto la sua condizione di ex detenuto, patteggiando con i Servizi”: Servillo ne esalta la maschera da commedia dell’arte, che cambia di continuo, recita a soggetto, e ne dà una cifra grottesca, è dramma, anche se sembra farsa. Dopo aver letto la sceneggiatura, racconta Servillo, “ho trovato talmente inverosimile questo suo continuo mutarsi d’abito mentale che sono andato a nozze, un’autostrada di verosimiglianza per un attore, il personaggio recita e io con lui. Ma la domanda è: come è stato possibile tutto questo?”. Se l’idea di partenza aveva un suo disegno originale, l’attuazione resta a metà del guado, non differenziando molto “Iddu” da un tv-movie come tanti. (Michele Gottardi)

Voto: 5.5

***

ALL WE IMAGINE AS LIGHT - AMORE A MUMBAI

Regia: Payal Kapadia

Cast: Kani Kusruti, Divya Prabha, Chhaya Kadam, Hridhu Haroon

Durata: 110’

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Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes 77, “All We Imagine As Light” di Payal Kapadia si immerge nella città dei sogni (ma soprattutto delle illusioni) - Mumbai - e incontra le vite disorientate di tre donne: Parvaty sta per essere sfrattata dalla propria casa, Prahba è una coscienziosa infermiera abbandonata dal marito partito per la Germania dopo il matrimonio combinato e Anu è una ragazza che vive clandestinamente una relazione d’amore con un giovane musulmano e sogna un destino diverso da quello che i suoi genitori e la società le imporrebbero.

Come in un sogno d’evasione, si ritroveranno insieme in un villaggio sulla costa dove, per una sera, tutto sembra possibile. Uno spiraglio di luce lontano dalle notti monsoniche e buie della città.

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Kapadia offre un ritratto della rigida e caotica società indiana prediligendo un tono poetico, sussurrato e onirico, attraverso un elemento femminile forte che rimane composto, anche se, di tanto in tanto, si lascia andare a piccoli moti di ribellione (un sasso lanciato, una danza liberatoria, l’amore consumato in una grotta).

Ed è nella seconda parte (la migliore), con quel riabbracciare la natura e i sentimenti più profondi, che il film trova il proprio centro, quella luce del titolo che, per un momento, rischiara le lunghe notti dell’anima. (Marco Contino)

Voto: 7

***

FAMILIA

Regia: Francesco Costabile

Cast: Francesco Gheghi, Barbara Ronchi, Francesco Di Leva, Marco Cicalese

Durata: 124’

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Dramma sulla violenza domestica, le ferite fisiche e dell’anima, il destino tragico.

“Familia” di Francesco Costabile - tratto dall’autobiografia di Luigi Celeste (Non sarà sempre così) - racconta la storia vera di un padre violento (Francesco Di Leva), di una moglie (Barbara Ronchi) che paga a caro prezzo la denuncia della sua brutalità e di due figli che, da piccoli, si tappavano le orecchie per non sentire e proteggersi.

Diventati adulti, portano ancora i segni di quel trauma: in particolare, il maggiore dei due, Gigi (Francesco Gheghi) si è fatto ingoiare da un gruppo di estrema destra come per convogliare quella violenza e la rabbia covata per anni su un altro nemico. Quando ritrova il padre uscito dal carcere, riaffiora tra loro una sintonia tossica che porta Gigi a reintrodurlo in famiglia: una seconda possibilità che mostra, sin da subito, tutta la fragilità di un finto pentimento, di una riabilitazione effimera che avrà il suo fatale epilogo di sangue.

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Francesco Costabile sceglie lo sguardo sgradevole, il primissimo piano sul volto ributtante del padre, i denti frantumati, il grandangolo straniante e il fuori fuoco per un racconto che, a parte autogiustificarsi alla luce dell’urgenza del tema trattato, non riesce mai a trovare la sua vera strada, perso tra schematismi e simbolismi eccessivi e una rappresentazione più morbosa che realistica.

Un film “piombato” e grigio ma, soprattutto, già “vecchio” che prova ad elevarsi nel finale (prevedibilissimo) da tragedia greca. (Marco Contino)

Voto: 5

***

VITTORIA

Regia: Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman

Cast: Marilena Jasmine Amato, Gennaro Scarica

Durata: 89’

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Terzo film di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, “Vittoria” è una sorta di docu-fiction che parte da una storia vera, vissuta dagli stessi interpreti, protagonisti a loro volta di una vicenda di adozione della bambina del titolo.

Siamo a Castellamare di Stabia, dove vive Jasmine, quarantenne, proprietaria di un fiorente salone di bellezza. Attorno a lei un marito devoto che cerca solo un posto dove trasferire la falegnameria, tre figli maschi amorevoli, ma dopo la morte del padre il suo mondo è turbato da un sogno ricorrente in cui una bambina le corre tra le braccia, dandole un profondo senso di completezza.

Invano Jasmine cerca di farsi leggere le carte e di interpretare il sogno, finché decide di buttarsi nel complesso mondo dell’adozione internazionale per dare un volto a quella bambina e rimuovere il suo problema, ma creandosene altri, nella famiglia e dentro di sé.

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Quando un sogno diventa un’ossessione: Jasmine consolida nella ricerca di una bambina la rimozione di qualcosa che non ha (la figlia) o non ha più (il padre).

Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman scelgono di seguire materialmente la donna e la sua famiglia in una ricerca che diventa collettiva, fino all’orfanotrofio in Bielorussia dove troveranno Vittoria.

Macchina a mano e riprese serrate, attraverso primi piani ravvicinati che si alternano a campi lunghi, i registi danno nell’insieme il senso di una fisicità filmica, intensa, che si alimenta della genuina interpretazione di due attori non professionisti che, tuttavia, hanno vissuto la medesima storia nella vita reale.

Dopo l’idea di partenza del doc sulla giovane pugile Irma Testa di "Butterfly" (2018), e la finzione ultrarealistica del loro primo lungometraggio, "Californie" (2021), con “Vittoria” Cassigoli&Kauffman fanno un film di sentimenti senza lacrime, con poche parole, ma sguardi veri, profondi. Tra i produttori, Nanni Moretti. (Michele Gottardi)

Voto 6.5