Vigili del fuoco, il nuovo comandante Metelli: «Venezia, nuova sfida»
Abituato a ragionare a livello nazionale, a coordinare le colonne mobili di pronto intervento che dalle diverse regioni convergono sui grandi disastri, l’ingegner Carlo Metelli ha assunto il comando dei vigili del fuoco provinciali da una settimana e già sta ragionando sulle possibilità alternative di «assalto» agli edifici veneziani, al momento dell’emergenza. «In terraferma si usano le autoscale, in laguna tocca fare alla vecchia maniera, con le “scale italiane” e quelle a gancio. Ma si potrebbe pensare a qualche metodo innovativo», riflette ad alta voce.
Ha già in mente qualcosa di specifico?
«Non proprio, ma nel corpo abbiamo ad esempio i nuclei speleo-alpino-fluviali, con specialisti capaci di arrampicarsi sulle montagne. Questa potrebbe effettivamente essere una chiave di volta per una nuova modalità di accesso in altezza».
C’è anche il problema della rete antincendio.
«Quella è una necessità di tutte le città: senza acqua i roghi non si possono spegnere. Mi sono informato, ho visto che anche qui abbiamo finalmente un sistema di idranti sempre più ramificato e presente».
E poi? Quali le altre questioni da affrontare?
«In centro storico, a Venezia, si opera con mezzi particolarissimi e in un reticolato urbano molto complesso. Significa che servono operatori del posto, ben formati. Non abbiamo una criticità di personale, al momento, ma speriamo di poterne accogliere altri comunque, a breve».
Quanti uomini avete?
«Circa 800, tra il comando centrale, gli 11 distaccamenti e i due gruppi volontari. Ma questo è uno dei territori più impegnativi d’Italia: da qui si gestiscono circa 11 mila interventi l’anno, il doppio di quelli di ogni altra provincia veneta. A livello regionale il totale è di 50 mila circa».
Era abituato a una gestione anche più complessa.
«Ho lavorato su moltissimi casi, sì, ma dalla sala operativa nazionale, nell’ultimo periodo come vicario alla direzione centrale emergenze del Viminale. In precedenza sono stato anche comandante sul campo, a Reggio Calabria. Prima ancora sono stato dirigente del centro operativo nazionale, ho guidato la scuola di formazione di base, sono stato responsabile della flotta canadair e del settore aeroportuale nazionale, dopo un’esperienza al comando provinciale di Matera».
Quale l’intervento che le è rimasto più impresso?
«Il 2017, con la valanga di Rigopiano, abbiamo dimostrato perché non diamo mai per perso nessuno prima di ritrovarne davvero i resti: abbiamo salvato da sotto la neve quindici persone quando ormai sembrava impossibile. Ma il momento che mi ha emozionato di più è stato ad Onna, dopo il terremoto dell’Aquila: un paese di 100 abitanti che aveva subito 60 vittime, in cui per Pasqua siamo riusciti a far risuonare le campane, recuperate tra le macerie. È stato un segnale di speranza davvero fortissimo».
Ha sempre voluto fare il vigile del fuoco?
«No, è stato un caso della vita: ero ingegnere e ho partecipato a un concorso perché si erano chiuse altre porte. Ma poi qui ho trovato molto più di un lavoro, tanto che ho finito per coinvolgere un sacco di altri miei vecchi colleghi. Questo non è un mestiere, è una passione: in tanti anni, non ho mai maledetto l’arrivo del lunedì, anzi».