Omicidio di Alano, Pedro Livert si difende: «Ho spinto Costa, ma non l’ho pugnalato»
«Ho spinto Costa dopo avergli strappato il coltello dalle mani, ma non l’ho pugnalato».
Ha raccontato la sua versione dei fatti alla Corte che lo deve giudicare per l’omicidio avvenuto la sera del 7 maggio del 2023 al Kangur Bar di Fener.
Il dominicano Pedro Livert Dominguez ha deciso di testimoniare e ha parlato per un’ora abbondante, incalzato dalle domande del pubblico ministero, del giudice e del proprio avvocato difensore. Un racconto tanto atteso quanto accorato, in cui il 57 enne dominicano ha rivendicato la propria innocenza.
Un delitto che ancora non è stato definito in tutti i suoi contorni, complici alcune lacune, come la mancanza di impronte digitali su quella che viene considerata l’arma del delitto, la difficoltà a dare una motivazione univoca al vistoso ematoma che Costa presentava nella parte alta della testa, un video con un fatale buco di alcuni minuti che racconta quanto accadde, ma solo in parte.
L’udienza di mercoledì 9 ottobre è stata dominata dalla deposizione di Pedro Livert Dominguez: «Quel giorno siamo arrivati al Kangur bar verso le 16,30 - 17. Io ero restio a muovermi di casa, ma la mia compagna mi ha detto che c’era una festa con la presenza di tutti i miei colleghi di lavoro. Così siamo andati e la serata è filata liscia, fino a quando la mia compagna mi ha detto che la figlia minorenne di sua sorella era stata toccata sul sedere da Costa».
Pedro Livert decide di andare a parlare con l’uomo: «Costa era nel gazebo, l’ho raggiunto e insieme siamo usciti all’esterno. Gli ho chiesto perché avesse toccato il sedere a una ragazza minorenne e in quel momento ha estratto il coltello dicendomi “ti scanno”. Con la mano sinistra gli ho bloccato la mano che teneva il coltello e con la destra ho afferrato la lama, tant’è che mi sono ferito. C’è stata una colluttazione conclusa da una spinta che ho dato a Costa. Poi ho gettato via il coltello affinché non lo potesse riprendere».
Pedro Livert, ha cercato di chiarire il ruolo di Cedano Sanchez Junior, l’altro imputato nel processo: «Lui è arrivato alle spalle di Costa mentre stavamo lottando per avere il coltello e gli ha sferrato un pugno alla testa. Credo sia stato quello che ha fatto cadere Costa. Io non l’ho pugnalato».
Subito dopo l’episodio il dominicano prende compagna, figli e un’altra ragazza e se ne va alla pizzeria da Franck a Quero: «Ero tranquillo perché mai avrei sospettato che Costa sarebbe morto. Io l’ho saputo dai carabinieri di Quero quando sono venuti a prendermi a casa la mattina dopo».
Le indagini, nelle ore successive, prendono una direzione precisa. Dopo alcune spontanee dichiarazioni, segue un secondo interrogatorio alla presenza di un avvocato.
«Non ho capito più niente, vedevo tutti questi carabinieri che mi continuavano a fare domande, ho pianto tanto perché ho capito che mi stavo trovando in mezzo a una cosa nella quale non c’entro».
Il pubblico ministero Primavera gli contesta una frase resa spontaneamente in prima battuta ai carabinieri: «Probabilmente l’ho colpito quando l’ho spinto», ma il dominicano si difende: «Continuavano a dirmi di dire la verità, e io gli ho detto che mi dispiaceva per l’accaduto, ma non ho mai detto che sono stato io».
In apertura di udienza era stato ascoltato il maresciallo Luigi Marciano del Ris di Parma che aveva verificato il coltello probabile arma del delitto.
Un reperto che non ha fornito grande aiuto alle indagini: «Colpa della superficie bucherellata del manico che non raccoglie le impronte e e un paio di “contattini” – così si chiamano delle tracce di poco conto, inutilizzabili – presenti sulla lama, ma inutilizzabili. Quella superficie bucherellata sul manico ha impedito che restassero delle impronte. Abbiamo rilevato queste tracce non utilizzabili sulla lama che era sporca, non so se di sostanza ematica».
Si torna in aula venerdì con la testimonianza del consulente di parte della difesa.