Capitale dell’arte contemporanea, ecco il progetto (bocciato) presentato da Venezia
«Evidentemente il nostro progetto non è stato capito, ma abbiamo tutta l’intenzione di realizzarlo ugualmente». A parlare così è il professor Stefano Zecchi, delegato per la Cultura del Comune di Venezia del sindaco Luigi Brugnaro e primo sostenitore della candidatura di Venezia a Capitale italiana dell’arte contemporanea per il 2026.
Una candidatura già bocciata nella prima fase, perché Gallarate, Gibellina, Pescara, Todi o Carrara sono i cinque centri che con i rispettivi progetti sono state designate come finaliste per il riconoscimento indetto dal Ministero della Cultura, da una giuria presieduta da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, collezionista alla guida dell’omonima fondazione dedicata appunto all’arte contemporanea e che aprirà presto anche una sede in laguna, nell’isola di San Giacomo in Paludo.
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«Le iniziative previste saranno svolte lo stesso» aggiunge Zecchi. «Il budget era di oltre 70 milioni, tra riqualificazioni (Arsenale, Forte Marghera, San Giuliano, Parco Albanese-Bissuola, Piazza Mercato di Marghera, Candiani, Ex Emeroteca, Palaplip, Museo del Vetro, Asac), servizi ed attività (bandi, residenze artistiche, eventi, allestimenti, studi). Risorse tutte confermate perché sono tutti finanziamenti del Comune di Venezia. Il finanziamento del Mic era di un milione, comunque già coperto».
Professor Zecchi, ma perché una capitale mondiale riconosciuta dell’arte contemporanea come Venezia, con la Biennale, ha voluto sfidare piccoli centri con il rischio, oltretutto, come è avvenuto, di uscirne sconfitta?
«Perché il nostro progetto era appunto diverso. Non la riproposizione di Venezia come città vetrina espositiva, ma come luogo di produzione artistica, coinvolgendo anche altre istituzioni come la Guggenheim e la Fondazione Pinault e arrivando fino a Forte Marghera. Ci sarebbe piaciuto coinvolgere anche la stessa Biennale . Era la proposta di una “rete” culturale ma si è preferito dare spazio ad altre realtà più piccole che vogliono proporre un proprio progetto per farsi conoscere. Non lo facevamo certo per incrementare il numero dei turisti, né per il premio di un milione messo a bando dal Ministero della Cultura di cui non abbiamo bisogno».
C’era bisogno di candidarsi, allora, per portare avanti un progetto di questo tipo?
«Infatti la nostra intenzione è quello di realizzarlo ugualmente con le altre realtà che abbiamo coinvolto. Vogliamo presentare un arcipelago artistico di Venezia che vada appunto dall’Arsenale a Forte Marghera. Era solo un’occasione che abbiamo cercato di cogliere con molta umiltà. Prossimamente contiamo di illustrare in modo organico il nostro progetto e tutto sommato sono contento che il riconoscimento vada magari a realtà come Todi o Gallarate che certo hanno più bisogno di noi di farsi conoscere nel campo dell’arte contemporanea» .
Torno allora alla domanda iniziale: perché partecipare? Non è un po’ anche una brutta figura per Venezia uscire sconfitta da centri come Gallarate o Gibellina come capitali italiane dell’arte contemporanea?
«Perché abbiamo voluto cogliere questa occasione per proporre congiuntamente un progetto diverso per Venezia e questa in fondo è la cosa più importante, quella che vogliamo che resti e si sviluppi. Quanto alla nostra esclusione, la commissione ha fatto evidentemente valutazioni di altra natura e non vedo nessuna ragione di sentirsi ridimensionati per questo. Si dice sempre di voler uscire dal modello di Venezia come città vetrina anche espositiva per il turismo di massa e questo era appunto un tentativo in questa direzione. Che non abbandoneremo, anche se il mio ruolo è in questa vicenda marginale, ciò che conta è la volontà del Comune di Venezia e del sindaco Luigi Brugnaro».