Confusi in campo, divisi fuori (tra Trentalange o Zappi): di certo l’elezione del nuovo capo degli arbitri sarà una pericolosa resa dei conti
Confusi in campo, divisi fuori. Non c’è pace per gli arbitri italiani. Mentre si moltiplicano le polemiche per i tanti fischi discutibili di queste prime giornate di campionato, l’Aia rischia di trasformare le prossime elezioni nell’ennesima resa di conti interna. Con due candidature sempre più probabili destinate a spaccare ulteriormente l’ambiente: da una parte il ritorno di Alfredo Trentalange, già presidente tra il 2021 e il 2022, prima di essere costretto a dimettersi per lo scandalo del procuratore D’Onofrio coinvolto in un traffico di droga; dall’altra Antonio Zappi, figura manageriale attualmente a capo del Veneto, che sarebbe la carta dell’attuale maggioranza, avendo il sostegno del n.1 in carica Carlo Pacifici.
Nella grande tornata elettorale del pallone che culminerà nella scelta del nuovo presidente della Figc a inizio 2025, anche i fischietti si preparano alle urne. Fin qui hanno votato calciatori, Dilettanti e Serie C, senza sorprese (riconfermati da candidati unici, con tanto di plebiscito, Calcagno, Abete e Marani). In Serie B il presidente Balata non è riuscito a strappare la riconferma e il voto è stato rinviato a data da destinarsi. In attesa del piatto forte, la Serie A e poi la Federazione (ma di mezzo c’è anche l’assemblea straordinaria del 4 novembre per cambiare i pesi elettorali), vedremo che combineranno gli arbitri.
L’Aia è una polveriera che non si riesce a pacificare. La fine del regno, quasi una “dittatura”, di Marcello Nicchi sembrava aver liberato l’associazione e invece è stato come scoperchiare il vaso di Pandora. Negli ultimi anni ne sono successe di tutti i colori, tra scandali sulle graduatorie e sui rimborsi, il caso d’Onofrio, errori e direttive incoerenti: mali che vengono dal passato ma che chi ha preso in mano le redini nel presente, prima Trentalange e poi Pacifici, non è riuscito a curare. E di questa governance destabilizzata e destabilizzante i frutti si vedono sul campo, con una classe arbitrale completamente squalificata, il cui unico riferimento è rimasto il designatore Gianluca Rocchi, confermato per addirittura due anni soltanto per il nome e perché gradito al presidente federale Gravina, nonostante risultati mediocri.
Pacifici, il cui mandato suo malgrado è stato troppo tormentato, non si ripresenterà. Nelle ultime settimane si è cercato in tutti i modi di trovare una soluzione condivisa, un candidato unico che andasse bene alle varie anime e correnti, che avrebbe potuto essere un ticket fra Zappi, presidente, e Trentalange suo vice. Nulla da fare: la maggioranza in carica, che fa capo a Pacifici, ha posto il veto sull’accordo con Trentalange e il suo blocco che aveva fatto opposizione dura. E così le candidature probabilmente saranno due, entrambe con velleità di successo. Il ritorno di Trentalange (e del suo grande elettore Duccio Baglioni) sarebbe piuttosto clamoroso: è vero che è uscito completamente discolpato dal caso D’Onofrio (occasione presa al balzo dalla Figc per farlo fuori dopo gli attriti con Gravina), ma non si può dimenticare che la sua esperienza di governo era stata tutt’altro che felice. D’altra parte, ci si chiede se il profilo di Zappi, poco conosciuto mediaticamente, sia quello giusto in un momento così difficile, e quanto sarebbe una reale discontinuità.
Si voterà il 14 dicembre ma col nuovo sistema elettorale, che prevede circa un migliaio di delegati totali compresi i presidenti di sezione, già a metà novembre potrebbero capirsi meglio gli equilibri. Il rischio è che dalle urne, il prossimo 14 dicembre, esca un vincitore ma anche e soprattutto un movimento spaccato a metà. E che questo indebolisca il progetto di indipendenza dell’Aia, la vera priorità del movimento. In futuro, l’Associazione Arbitri è destinata a perdere il 2% di voto in FederCalcio (ragione per cui stavolta Gravina guarda con distacco la partita elettorale), e si spera a diventare autonoma, politicamente e soprattutto finanziariamente, con una dote di risorse pagate dai club per i servizi forniti, poi una quota di diritti tv e gli sponsor gestiti in proprio (e non più procurati dalla Figc). Un piano caldeggiato anche dal governo, su cui Figc e Serie A proveranno a dire la loro. Un movimento spaccato potrà solo subire, e non dettare le regole di questa riforma.
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