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Litio, rame, cobalto: l’Europa dipende dai Paesi dell’altro mondo. E il riciclo potrebbe non essere sufficiente

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Non possediamo rame, petrolio, gas, titanio, uranio, terre rare, e abbiamo scarse risorse di tungsteno, fosforo, alluminio, manganese, cobalto. Eppure le nostre scelte geopolitiche, quelle dell’Europa, sono poco improntate a rapporti commerciali con i Paesi che possiedono le materie prime, in particolare quelle necessarie alla transizione energetica, a partire dalla Cina. Con il rischio che il nostro continente diventi sempre più debole, vulnerabile ed esposto. Infatti, come scrivono il giornalista Paolo Gila e l’analista finanziario Maurizio Mazziero nel libro Le mappe del tesoro. Geopolitica delle materie prime: la vera sfida strategica del XXI secolo (Hoepli editore), “il Dragone potrebbe usare le materie prime come arma di pressione, sanzione o ritorsione, nei confronti dell’Occidente”.

LE MAPPE DEL TESORO

“Nel corso degli ultimi decenni”, spiega Paolo Gila, “molte aree mondiali sono transitate da una influenza americana o comunque europea a un’influenza cinese o russa, lo vediamo in molti Paesi africani. La questione di dare ossigeno alla macchina produttiva con le materie prime diventa sempre più importante. L’Europa rischia di diventare vassallo dell’altro mondo, rinunciando al suo ruolo storico di superpotenza, anche a causa della completa sudditanza verso gli Stati Uniti”.

Dal litio alle terre rare, chi sono i Paesi ricchi di materie prime

Il libro passa in rassegna in maniera sistematica tutte le materie prime mondiali, tra cui quelle necessarie alla transizione energetica. Il litio, ad esempio, fondamentale nella fabbricazione delle batterie delle auto e dei telefoni, si concentra per l’80% in Cile, Argentina e Bolivia (65 milioni su 95), ma anche in Australia. Un’altra materia sempre più strategica per le industrie delle energie rinnovabili (pannelli e turbine eoliche), della mobilità elettrica e dell’elettronica (chip), è il rame. “Il rame è uno dei materiali più critici per la transizione”, spiega Maurizio Mazziero. “I cavi che collegano le turbine eoliche sono fatti di rame e ne serve moltissimo. E per le auto elettriche servono 53 chili di rame contro 22 dell’auto a benzina. Inoltre, ormai occorre anche per l’Intelligenza Artificiale e i suoi data center”. Il maggiore produttore di rame è il Cile. L’area che ne è più ricca è dunque il sud America, che ne ha un terzo e in particolare il Cile che copre il 27%, seguito dal Perù con il 10% e poi la Cina, che è comunque il maggio raffinatore. È diffuso poi in maniera minore in altri Paesi.

Anche il cobalto è legato allo sviluppo del mercato delle auto elettriche. Il paese più ricco al mondo è la Repubblica Democratica del Congo, ma il principale raffinatore è sempre la Cina. Quanto alle terre rare, un gruppo di elementi che si utilizzano in svariate applicazioni, come le pale eoliche, la Cina è diventata il principale paese produttore e utilizzatore di terre rare, con una posizione quasi monopolistica grazie a una quota di mercato elevatissima, seguita dalla Groenlandia. “Bisogna inoltre pensare”, ricorda Paolo Gila, “che la Cina ha sancito che le terre rare sono un bene dello Stato e sarà lo Stato a occuparsene e autorizzare eventuali esportazioni, rifacendosi a un criterio che l’Onu aveva indicato nel 1962 quando aveva stabilito il principio della sovranità nazionale delle materie prime. Un elemento normativo a cui sempre più i Paesi vogliono riferirsi, per trattenere parte dei profitti che oggi vanno alle multinazionali”.

Sempre la domanda di batterie elettriche ha fatto lievitare la richiesta di nichel e cadmio. La produzione del primo è concentrata soprattutto in Asia: Indonesia e Filippine, a seguire la Russia, la Nuova Caledonia e via via altre nazioni. I principali Paesi produttori di cadmio sono invece il Canada e gli Stati Uniti, insieme all’Australia e al Giappone.

Nuovi accordi e riciclo: le possibili soluzioni

La dipendenza cinese per l’Europa, in un certo senso, è doppia. “Dobbiamo infatti pensare che tutti i pannelli fotovoltaici che vengono utilizzati in Europa attraverso delle società intermediarie tedesche sono pannelli di costruzione cinese”, afferma Maurizio Mazziero. “Quindi quando parliamo di migrazione tecnologica verso una civiltà verde stiamo parlando di un’acquisizione di prodotti cinesi. Insomma, mentre pensiamo di diventare più autonomi e più indipendenti siamo più soggetti al prodotto cinese”.

Come fare, dunque, per evitare questa dipendenza che può risultare veramente drammatica? In primo piano c’è il tema del riciclo. Nel nuovo Regolamento delle Materie Prime, l’Unione Europea ha stabilito che entro il 2030 si possa e si debba raggiungere una quota di almeno il 10% dell’utilizzo e del riciclo di materie prime strategiche, tra cui anche il rame. Inoltre, la Commissione Europea ha presentato il 16 marzo 2023 un atto legislativo che deve servire a diversificare le fonti di approvvigionamento nel settore delle materie prime più necessarie, al fine della costruzione di microprocessori e batterie, in linea con il programma comunitario di transizione ecologica. Entro il 2030 – si legge nel documento – la dipendenza da un solo Paese fornitore, anche e soprattutto per il rame, dovrà essere inferiore al 65% della domanda. E sempre entro il 2030, i Paesi dell’Unione dovranno rendersi autonomi per almeno il 40% nella lavorazione e nella raffinazione di tutti gli elementi elencati (il rame è il primo della lista) per almeno il 15% nel loro riciclo.

Ma riciclare potrebbe non bastare. Serve anche un cambio negli scambi commerciali e nei rapporti con i Paesi più ricchi. “Bisogna in altre parole assicurarsi una catena di approvvigionamento sicura e affidabile nel tempo, che dia i volumi e i prezzi che ci occorrono”, conclude Paolo Gila, “reimpostando le attività diplomatiche per essere certi che Paesi che non sono più nella nostra influenza riescano comunque a garantirci le materie prime di cui abbiamo bisogno”.

L'articolo Litio, rame, cobalto: l’Europa dipende dai Paesi dell’altro mondo. E il riciclo potrebbe non essere sufficiente proviene da Il Fatto Quotidiano.