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L’America nella trappola del debito di sua creazione

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La Federal Reserve di Atlanta ha pubblicato uno studio che stima che 13.000 miliardi di dollari siano stati creati da banche offshore non aventi sede negli Stati Uniti (https://www.atlantafed.org/research/publications/policy-hub/2024/05/15/02–offshore-dollar-and-us-policy). Lo studio, sebbene incompleto riguardo alla reale dimensione della bolla speculativa, evidenzia il problema della creazione di denaro da parte di interessi privati al di fuori del controllo sovrano degli Stati Uniti. Questo sistema incontrollato di creazione di denaro, insieme all’espansione monetaria delle banche centrali e al debito pubblico fuori controllo, è allo stesso tempo la dinamica che spinge il mondo verso una guerra globale, ma anche il cancro da rimuovere nel caso in cui gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo vogliano entrare a far parte di un nuovo sistema monetario-finanziario mondiale regolamentato.
“Le banche con sede al di fuori degli Stati Uniti devono rifinanziare passività in dollari in scadenza su uno stock di depositi e obbligazioni di 16.000 miliardi di dollari”, si legge nello studio. “Circa 3.000 miliardi di dollari di queste obbligazioni sono registrati presso filiali e consociate negli Stati Uniti. In linea di principio, queste filiali di banche estere negli Stati Uniti hanno accesso a finanziamenti in dollari al momento del bisogno, attraverso lo sportello di sconto della Fed (Federal Reserve). Ma le banche con sede al di fuori degli Stati Uniti hanno altri 13.000 miliardi di dollari di obbligazioni in dollari contabilizzate all’estero. Lo sportello di sconto della Fed non fornisce una copertura diretta a queste passività”. Quindi, che cosa succede quando qualcuna di queste banche ha bisogno di dollari, pena la minaccia di default a catena?
In realtà, se e quando un tale pericolo si concretizza, la Fed è costretta ad intervenire per evitare un crollo del sistema. In altre parole, gli Stati Uniti sono preda di una trappola del debito che essi stessi hanno creato nel permettere la denazionalizzazione della propria moneta.
Una situazione del genere si è verificata almeno due volte negli ultimi quattro anni e mezzo, e in entrambi i casi la Fed è intervenuta con enormi operazioni di FX (Foreign Exchange) swap con le altre principali banche centrali. Nel panico da pandemia del marzo 2020, il totale degli swap in dollari della Fed è passato, di settimana in settimana, da circa 5 miliardi di dollari il 4 marzo, a 168 miliardi di dollari il 18 marzo, a 205 miliardi di dollari il 25 marzo, e alla fine di maggio era di circa 450 miliardi di dollari. La Fed ha dovuto essenzialmente finanziare la vendita a livello mondiale di attività finanziarie in perdita altrimenti invendibili, fornendo dollari alle banche centrali estere per i prestiti, per acquistare quelle attività tossiche e quindi contenere l’ondata di perdite. Una replica più localizzata si è avuta nel sistema bancario britannico nel settembre 2022, con la crisi dei titoli del Regno Unito innescata dal bilancio del governo di Liz Truss. Il difficilissimo inglobamento del Credit Suisse in UBS, con massicci prestiti in dollari della Fed alla Banca Nazionale svizzera, costituisce un altro esempio.
Il rapporto della Fed di Atlanta traccia anche una storia del mercato dei cambi, non facendo mistero che la “denazionalizzazione” del dollaro sia stata avviata da Londra, come Lyndon LaRouche e questa testata hanno spesso denunciato. Le banche britanniche iniziarono ad utilizzare i loro depositi in dollari per creare il mercato degli eurodollari e concedere prestiti ad alti tassi, aggirando le restrizioni della Fed, in particolare ai Paesi allora chiamati Terzo Mondo, portando alla “bomba del debito” dei primi anni Settanta.
Questo rapporto della Fed di Atlanta fornisce ulteriori prove dell’urgenza di reintrodurre un regime Glass-Steagall di separazione bancaria per sottrarre il controllo della finanza ai centri oligarchici, chiudere la bisca speculativa e fermare la dinamica che sta spingendo il mondo verso la Terza Guerra Mondiale.