Padova, una partita vera: tre gol, la prima vittoria. La gioia senza confini del No Borders Team
Ora gli unici confini che contano sono quelli tracciati con il gesso sull’erba: il rettangolo di gioco, l’area di rigore, la linea di porta oltre la quale spingere il pallone.
Volendo, si può considerare anche il recinto del campo, lungo il quale si affollano gli amici per fare il tifo. E anche questo contribuisce a far lievitare l’emozione, perché all’esordio del No Borders Team - la squadra interamente composta da migranti ospiti nelle strutture di accoglienza della città, ragazzi provenienti da sette diverse nazioni africane - c’è un tifo insolito per una partita di campionato Csi Open.
I preparativi
Avversario di giornata è il Torreglia che indossa una maglia simile a quella del Barcellona. Quella dei ragazzi del team “senza confini” invece è giallo canarino, con il logo del Quadrato Meticcio, la società multietnica di Palestro che li ha adottati, che li allena e li fa giocare, regalando loro un pezzo di vita vera fuori dalle strutture. Un passo avanti verso l’integrazione.
Mattia Boscaro, uno dei registi di questo progetto, si affanna tra spogliatoi e magazzini perché tutto fili liscio. Arriva di corsa con un sacco di parastinchi e ci scherza su: «È la prima gara ufficiale, bisogna prepararli per bene».
Il progetto, che al Quadrato costa seimila euro fra tesseramenti, tasse gara e affitto del campo parrocchiale - spesa da dividere con le cooperative che si occupano dell’accoglienza - è partito quasi un anno fa. I migranti dei Cas hanno iniziato a frequentare il prato di via Dottesio, dopo qualche allenamento è nata l’idea di un torneo - la No Borders Cup - e si è formata la squadra. Un successo, non solo in senso sportivo, ma per l’entusiasmo dimostrato dai ragazzi.
La burocrazia come avversario
«Agli allenamenti sono più di venti, ma ne abbiamo potuto tesserare solo 14», racconta Boscaro, «perché non tutti hanno i documenti in regola». Uno di loro, per esempio, proprio oggi ha compiuto 18 anni e non ha potuto giocare perché gli serve un nuovo permesso di soggiorno.
Così in panchina Lamin Dramè, l’allenatore senegalese al quale è affidato il compito di coordinare il gruppo - più per le tre lingue conosciute che per particolari abilità tecniche - può contare solo su tre giocatori. E ha rischiato di averne solo due, perché a Dembelè, un ragazzo del Mali, hanno rubato la bici in stazione ed è arrivato a piedi, perché di mancare non voleva saperne. «In fila, in fila», grida Dramè, che ai ragazzi si rivolge prevalentemente in italiano. «Ma qui si parlano anche francese e qualche dialetto africano conosciuto ai più».
Tutti insieme
Il progetto No Borders ha trovato una sponda anche nella parrocchia di San Giuseppe: don Enrico affitta il campo e guarda con favore all’iniziativa, che fa comunità. Ma a bordo campo, per la prima di campionato, c’è don Giancarlo, parroco di San Girolamo da 15 anni.
«Dopo tutte le battaglie che abbiamo fatto per difendere questo pezzo di terra e farne un campo di calcio anziché un parcheggio, essere qui è il minimo», dice. «E poi questa iniziativa è troppo bella. Il quartiere ha tanti problemi ma non si rassegna, lotta per superarli».
Vicino a lui c’è anche Floriana Rizzetto, presidente dell’Anpi: «Abito qui dietro, non potevo non esserci», dice. Perché anche l’integrazione, in fondo, è resistenza. Poi c’è anche una coincidenza di date da sottolineare.
«Nel 2013, il 3 ottobre, 367 persone sono morte nel Mediterraneo cercando di arrivare a Lampedusa», ricorda Paola Cosma, della cooperativa Levante e attivista del Quadrato Meticcio. «Un comitato porta quel nome e ricorda la tragedia. Ma anche i ragazzi che oggi vediamo in campo hanno attraversato il mare: loro ce l’hanno fatta, ma si portano addosso il dolore di amici e fratelli che non hanno avuto la stessa fortuna».
La partita
L’emozione tradisce il No Borders Team in avvio: un pasticcio in difesa regala il vantaggio al Torreglia. Ma i ragazzi allenati da Dramè giocano bene, fanno valere la loro superiorità atletica e pareggiano sul finire del primo tempo.
E sull’onda dell’entusiasmo, nel secondo tempo portano a casa la vittoria, per 3-2, festeggiandola come hanno visto fare mille volte alle squadre vere: presi per mano corrono a esultare verso i tifosi. La festa continua nel terzo tempo: bibite analcoliche - sono quasi tutti musulmani - patatine, frutta e sorrisi larghi così. Come l’avevano sognata. —