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Октябрь
2024

Il 7 Ottobre il massacro di Hamas in Israele. Mattarella: “Un anno di orrori, ora basta armi”

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Oltre 1.200 israeliani uccisi e 251 presi in ostaggio, quasi 42mila palestinesi morti nella Striscia di Gaza e più di duemila libanesi che hanno perso la vita. Ma anche 200 lavoratori dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e più di un centinaio di giornalisti. Questo il bilancio delle vittime da quando, il 7 ottobre di un anno fa, Hamas ha lanciato un assalto al sud dello Stato ebraico che per gli israeliani è ”il peggior massacro dall’Olocausto”. Da allora, la rappresaglia israeliana ha causato vittime tra i palestinesi e i libanesi ai quali si aggiungono sfollati e una crisi umanitaria senza precedenti secondo l’Onu. E a Gaza restano 110 ostaggi, di cui si ritiene che meno di 70 siano ancora in vita.

Strage di Hamas del 7 Ottobre, il messaggio di Mattarella

“È più che mai necessario giungere a un cessate il fuoco immediato per porre termine alla sequela di orrori che si sono susseguiti dal 7 ottobre dello scorso anno ad oggi e scongiurare l’allargamento del conflitto, prospettiva che gli accadimenti recentissimi rendono purtroppo vicina e concreta”, dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del primo anniversario degli attacchi di Hamas contro cittadini di Israele. “Ferma condanna e forte indignazione ha suscitato, in Italia e nel mondo, il barbaro attacco condotto da Hamas contro inermi cittadini israeliani lo scorso 7 ottobre 2023. A un anno di distanza, grande è la vicinanza e la solidarietà della Repubblica Italiana al popolo israeliano così ignobilmente colpito”, aggiunge il presidente della Repubblica. “Nel deplorare nuovamente quel brutale atto terroristico, partecipiamo con commozione al dolore delle famiglie delle vittime e rinnoviamo l’appello affinché le persone prese crudelmente in ostaggio con pratica disumana, vengano liberate e possano ricongiungersi ai loro familiari”, prosegue il capo dello Stato.

“L’Italia sostiene convintamente il diritto di Israele alla propria esistenza in pace e sicurezza e alla difesa dagli attacchi, nel rispetto del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario”. Poi Mattarella aggiunge: “”Profonda è la preoccupazione per la condizione dei civili a Gaza, la cui popolazione ha patito indicibili lutti e sofferenze e ha diritto ad essere sottratta alle distruzioni e alla violenza della guerra”.

L’inizio di un anno di guerra in Medio Oriente

Tutto ha inizio alle 6.30 del 7 ottobre, quando le sirene antiaeree iniziano a suonare a Gerusalemme avvisando i cittadini dell’attacco in corso e di mettersi immediatamente al riparo. Le Forze di difesa israeliane stimano che circa 2.200 razzi siano stati lanciati verso il sud e il centro di Israele, tra cui Tel Aviv e Gerusalemme, dai miliziani di Hamas. Gli uomini armati di Hamas, molti dei quali in motocicletta, hanno preso d’assalto kibbutz, le comunità israeliane al confine e il rave party Nova che era stato organizzato del deserto del Negev. Più di mille palestinesi, di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi, hanno compiuto quello che l’Onu ha definito un ”attacco coordinato e complesso” costato la vita a 809 civili, almeno 280 donne e 40 bambini, secondo le Nazioni Unite, e 314 soldati. Quasi 15mila i feriti.

Poco dopo l’attacco Mohammed Deif, comandante in capo delle Brigate Al Qassam, braccio armato di Hamas, rilascia una dichiarazione video in cui rivendica la responsabilità dell’azione. L’operazione è stata ribattezzata ‘Diluvio di Al-Aqsa’ e, da Hamas, è stata descritta come ”un atto difensivo” e ”un passo necessario per porre fine al’’ingiusto assedio della Striscia di Gaza, per affrontare tutte le cospirazioni israeliane contro il popolo palestinese e la sua causa”.

Verso le 18 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dichiara che “Israele è in guerra“. E’ la prima volta dalla guerra arabo-israeliana del 1973 e segna l’inizio di un’operazione militare senza precedenti contro la Striscia di Gaza, con la mobilitazione di 300mila riservisti. I jet israeliani si alzano in volo cominciando a bombardare Gaza. Tra i primi obiettivi rasi al suolo, la moschea Al-Sousi a Gaza City. Il giorno, l’8 ottobre, Hezbollah lancia attacchi missilistici contro le comunità israeliane al nord al confine con il Libano.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden chiama Netanyahu ed esprime la ”condanna” degli Stati Uniti e il sostegno a Israele. “Israele ha il diritto di difendere se stesso e il suo popolo”, afferma Biden in un discorso televisivo dalla Casa Bianca. Il 14 ottobre Egitto, Israele e Stati Uniti concordano di consentire agli stranieri a Gaza di passare attraverso il valico di frontiera di Rafah verso l’Egitto, provocando una corsa caotica verso il confine meridionale da parte di palestinesi e stranieri che sperano di fuggire.

La visita del presidente Biden

Il 18 ottobre il presidente americano Biden arriva in Israele e viene accolto con un abbraccio dal primo ministro Netanyahu sulla pista dell’aeroporto Ben Gurion, vicino a Tel Aviv. Sono “orgoglioso di essere qui”, ha detto Biden, “voglio dire al popolo di Israele che il loro coraggio, il loro impegno, la loro audacia sono eccezionali”, afferma Biden, promettendo di fornire a Israele tutto ciò di cui ha bisogno per difendersi. Allo stesso tempo, Biden ha detto agli israeliani: ”non fate i nostri stessi errori dopo l’11 settembre”.

Il 24 novembre viene dichiarato un cessate il fuoco di sette giorni ed è l’unica tregua che la guerra ha conosciuto finora. Durante quella settimana, e grazie ad un intenso processo di mediazione internazionale, Israele ha rilasciato 240 prigionieri palestinesi in cambio di 105 civili rapiti da Hamas. Sembrava essere una prima spinta verso la fine del fuoco duraturo, secondo le aspettative che finì per crollare. La fine della tregua ha significato l’intensificazione dei bombardamenti israeliani sull’enclave, l’accelerazione delle sue operazioni di terra e la certezza che le conseguenze della guerra stavano definitivamente sfuggendo alle mani della comunità internazionale.

Il 26 gennaio la Corte Internazionale di Giustizia, il tribunale delle Nazioni Unite, ha ordinato a Israele di ”prendere tutte le misure possibili” per prevenire un genocidio a Gaza. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenta da mesi di promulgare una risoluzione di cessate il fuoco, ma il veto degli Stati Uniti la rende difficile. Con quattordici voti a favore e l’astensione degli Stati Uniti, il 25  marzo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione richiedendo un cessate il fuoco temporaneo nel conflitto tra Israele e Hamas.

La drammatica situazione a Gaza

Sul terreno, però, la situazione va solo a peggiorare e si dirige verso una escalation sempre maggiore. Il 13 aprille l’Iran lancia 300 tra di droni e missili balistici verso Israele, il 99% dei quali abbattuti, secondo Tel Aviv. Si tratta della risposta di Teheran all’uccisione, due settimane prima, del comandante della forza di elite dei Pasdaran, al-Quds, Mohammad Reza Zahevi insieme ad altre 15 nel consolato a Damasco.

Questa escalation è legata alle operazioni parallele di Israele per decapitare la leadership dei movimenti armati che deve affrontare. Il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh è stato ucciso il 31 LUGLIO a Teheran. Il 27 settembre è stato ucciso il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah nel sobborgo a sud di Beirut che è roccaforte del gruppo. Pochi giorni prima decina di miliziani di Hezbollah perdono la vita o in migliaia rimangono feriti a causa dell’esplosione coordinata di cercapersone e walkie talkie.

Il 30 settembre Israele annuncia “un’incursione mirata e limitata” nel sud del Libano, scatenando un’ondata di bombardamenti a sud di Beirut. Il primo ottobre 180 missili iraniani vengono lanciati verso Israele. Il timore è che l’escalation continui, con la preannunciata risposta di Tel Aviv.

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