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L’arresto di Franco Alfieri interroga ancora sul senso delle province, non elette dai cittadini

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di Leonardo Botta

Qualche anno fa, da consigliere comunale di un piccolo comune, mi capitò di votare per l’elezione di consiglieri e presidente della mia provincia, così come previsto dalla legge Delrio. Com’è noto, infatti, quelle dei consigli provinciali sono elezioni di secondo livello, nelle quali l’elettorato è costituito dagli amministratori di tutti i comuni appartenenti. Una norma, la Delrio, piuttosto controversa e oggi contestata dal governo e dalla maggioranza di centrodestra; forse non a torto, come dirò, anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca giudiziaria che hanno interessato l’attuale presidente della provincia di Salerno, Franco Alfieri, raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare per presunte irregolarità in gare d’appalto indette dal comune di cui è sindaco; irregolarità finalizzate, secondo gli inquirenti, ad agevolare imprese a lui vicine.

Naturalmente valgono anche in questo caso le considerazioni garantiste che le nostre leggi e il buon senso impongono: Alfieri, come tutti gli indagati e gli imputati, è innocente fino a prova contraria e salvo eventuale condanna passata in giudicato, anche se le accuse a suo carico sembrano pesanti.

Ciò detto vorrei concentrarmi su qualche considerazione di natura politica.

Innanzitutto credo che la custodia cautelare, se non prontamente revocata in fase di riesame, imponga inevitabilmente le dimissioni di Alfieri, che certo non può guidare un comune importante e una delle province più estese d’Italia da un carcere o dagli arresti domiciliari: il principio del garantismo è sempre bene che si accompagni a quelli della precauzione e dell’opportunità.

Inoltre questo episodio a mio avviso sollecita una riflessione sul sistema elettorale di questi enti territoriali intermedi tra comuni e regioni. La già richiamata norma Delrio (legge 56/2014) che aveva mandato in soffitta l’elezione diretta dei consigli provinciali (con l’intento, forse malriuscito, di razionalizzarne procedure amministrative e costi di gestione) potrebbe presto andare in soffitta a sua volta, magari anche sulla spinta dei fatti salernitani.

Credo che il centrodestra avrà legittimamente gioco facile a battere il tasto su questa vicenda, dati anche gli ottimi rapporti tra Alfieri e il presidente Vincenzo De Luca e visto l’approssimarsi della campagna elettorale per le regionali in Campania. E, soprattutto, troverà ottimi argomenti per spingere sull’acceleratore per un ritorno all’elezione diretta per le province (avevo già scritto sull’argomento). Una riforma che alla luce del caso Alfieri (nel quale, in realtà, le ipotesi di reato a suo carico riguardano la sua attività di sindaco, non quella di presidente di provincia) mi trova ora a malincuore d’accordo: ero (e sono) convinto che tornare ai consigli provinciali con elezione popolare avrebbe riproposto le storture registrate in passato, quando consiglieri e assessori poco inclini all’oculatezza amministrativa finanziavano di tutto, dalla sagra del fagiolo alla festa della zampogna (sui contributi a questo tipo di manifestazioni si era consumata anche una polemica tra la premier Meloni e lo stesso De Luca). Viceversa, la Delrio aveva concentrato le competenze provinciali su scuole, viabilità e ambiente.

Più in generale ero e resto persuaso che in Italia i livelli di governo del territorio (fatti salvi i comuni, parliamo di intrecci, duplicazioni e sovrapposizioni di competenze tra regioni, province, comunità montane e altri enti d’area più o meno vasta) siano troppi; ma tuttavia credo sia opportuno ridare la parola ai cittadini anche per costituire i consigli provinciali. In tal modo, nel caso di fenomeni di malaffare, gli amministratori responsabili dovranno rendere conto, oltre che ai preposti organi della giustizia, anche e soprattutto ai cittadini e al proprio elettorato, piuttosto che ai colleghi politici che con l’attuale norma li eleggono.

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