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Dario Calimani: «Troppi pregiudizi contro Israele, con la sinistra non c’è dialogo»

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Dario Calimani, presidente comunità ebraica di Venezia, la politica veneta come si pone nei vostri confronti in questo difficile momento di guerra in Medio Oriente?

«Sento vicine le persone che guidano la Regione, il presidente Luca Zaia è un amico della comunità ebraica. Anche il sindaco Luigi Brugnaro è vicino alla nostra comunità. Ma non posso dire che tutta la politica regionale condivida questo atteggiamento».

Cosa intende dire?

«C’è molto pregiudizio e ci sono posizioni della sinistra che sono ideologiche e non si pongono problemi di natura storica. La stessa cosa accade in una destra che non riesce a staccarsi dal passato fascista. In questa stranissima situazione noi ci troviamo tra incudine e martello. Non posso sopportare che tornino modalità di vita fasciste ma c’è anche una condizione politica della sinistra per cui di Israele è colpevole di per sé, per assunto, e quindi diventa difficile il rapporto con l’ebraismo».

Parla di destra e sinistra radicale?

«Purtroppo anche sinistra non radicale, quella che un tempo era più amica. Con cui ora non c’è più dialogo».

Il dialogo si è interrotto dopo l’inizio dei bombardamenti da parte di Israele?

«Dopo il 7 ottobre è venuto un solo rappresentante del Pd regionale a darmi la sua solidarietà. E io gli ho chiesto: e gli altri dove sono? Il 7 ottobre non c’erano ancora i bombardamenti».

Come vivete le manifestazioni pro Palestina anche nelle piazze del Veneto?

«Rimaniamo sconcertati, perché esistono solo proclami urlati, con numeri sparati a caso e notizie false. Ognuno ha il diritto a manifestare ma chi le ispira dovrebbe avere più spirito di verità. Invece si vuole solo instillare l’odio. Bisogna trovare il nemico e la storia insegna che il nemico più facile da trovare è l’ebreo».

Il dispositivo di sicurezza organizzato nei ghetti ebraici regionali è sufficiente?

«Noi a Venezia abbiamo da 23 anni la Guardia di Finanza in Campo del Ghetto, 24 ore su 24. Da tempo si sono aggiunti anche i militari dell’Esercito e ogni tanto passano i carabinieri, la polizia, la Digos. Più di così non si può fare».

Vi preoccupa questa ondata di antisemitismo?

«È un pezzo che siamo preoccupati, perché c’è sicuramente un crescendo. Non so se si tradurrà in qualcosa di materiale, spero vivamente di no. L’altro giorno a Milano un cuoco famoso di cui non voglio fare il nome incitava i manifestanti a segnare le case dei sionisti. Chi sono i sionisti oggi in Italia? Immagino noi ebrei».

Quanto pesa questa generalizzazione?

«Nessuno spiega cos’è il sionismo e tutti credono sia una specie di colonialismo. Non si capisce nulla e si prendono posizioni solo ideologiche».

Non è semplice neanche per voi che vivete lontani dal conflitto, quindi.

«Io vorrei vivere tranquillo. Non è che mi compiaccio a dire che in giro c’è l’antisemitismo. E questo è antisemitismo, non antisionismo. Vuol dire che c’è un pregiudizio di fondo. Quando ci sono di mezzo Israele e gli ebrei si perde il senso dell’equilibrio».

Parla sempre della politica?

«Il Papa quando parla di Israele e Palestina, da mesi nomina sempre prima la Palestina e solo dopo Israele. Anche questo è indicativo, per capire da che parte sta».

E nella vita di tutti i giorni?

«Tempo fa ho perso un amico perché ha detto “voi” e io mi sono guardato intorno e ho risposto: voi chi? Mi gettava addosso la responsabilità di Gaza. Io capisco l’emotività, ma la confusione è terribile».

Cosa risponde quando la trattano in questo modo?

«Io sono ebreo e sono a Venezia da quasi 600 anni, sono profondamente veneziano, la mia famiglia ha vissuto qua quando non avrebbe potuto vivere in Germania. Ho chiara la mia identità ebraico-veneziana. Ma è ovvio che come ebreo ho un rapporto con Israele, di affetto soprattutto, sapendo che 1 milione di persone salvate da Auschwitz si sono rifugiate lì. Non è solo una storia di conquista ma anche di salvezza».