Con Mark Rutte alla Nato la maschera è caduta: comandano Usa ed economia di guerra
Nell’aprile del 2020 il neo insediato segretario generale della Nato, il liberale olandese Mark Rutte, era primo ministro del suo paese e aveva suscitato l’indignazione di tutto il palazzo politico e mediatico italia. Rispondendo ad un autista che che gli aveva urlato da lontano in un parcheggio “basta soldi a italiani e spagnoli”, Rutte con una risata aveva replicato: certo basta soldi agli italiani.
Lo scandalo di allora è stato ufficialmente dimenticato oggi che Rutte, nel suo discorso di insediamento, ha proclamato la necessità di aumentare le spese militari e di bombardare la Russia per vincere la guerra in Ucraina. Oggi i politici e i giornalisti euroatlantici, furibondi quattro anni fa con Rutte, non hanno avuto nulla da dire sulle sue parole guerrafondaie, né tantomeno le hanno collegate a quelle del passato, eppure il nesso c’è e pure profondo.
Il predecessore di Rutte alla Nato è stato Stoltenberg, socialdemocratico della Norvegia, un paese che non fa parte della Ue e neppure è vincolato alle politiche liberiste di austerità comunitarie. Rutte invece ne è un fanatico assertore e, come sappiamo, fino al razzismo contro i popoli mediterranei fannulloni e spendaccioni. Con Stoltenberg la Nato poteva ancora presentare due facce: quella vera della guerra e dell’economia di guerra e quella fittizia della difesa dello stato sociale.
Ora con Rutte la finzione cade: i liberisti europei sono al vertice della principale, anzi dell’unica, alleanza e organizzazione militare mondiale. Naturalmente la guida di Rutte è solo formale, come tutti sanno sono gli Usa i padroni della Nato. Tuttavia è significativo a quel vertice formale ora sieda che uno dei principali esponenti della cosiddetta politica tedesca di gestione della Ue, cioè di quella politica che ha distrutto la Grecia con i suoi memorandum e che ora torna in vigore con il nuovo patto di stabilità. E infatti Ursula Von der Leyen è stata la prima e la più entusiasta nelle congratulazioni a Rutte.
Mark Rutte rappresenta la totale integrazione tra Nato e Ue, la seconda adotta tutte le politiche guerrafondaie dell’alleanza, la prima fa proprie austerità e privatizzazioni. È l’economia di guerra, che comporta un enorme aumento degli investimenti nell’industria militare, con corrispondenti tagli alla sanità, alla scuola e ai servizi pubblici.
È forse questa la via su cui punta Draghi: un crescente impegno militare della Ue con la Nato, con una poderosa conversione verso la produzione di armi, potrebbe alla fine portare a quei grandi investimenti comuni auspicati nel piano del banchiere. Sì, solo la guerra può oggi costringere la Ue a un salto verso industria e finanza comuni e credo che Draghi lo sappia perfettamente. Oramai bisogna concepire Ue e Nato come una sola cosa.
Mentre Rutte pronunciava il suo discorso di guerra, il governo Meloni era alle prese con la prima finanziaria in ossequio al nuovo patto di stabilità europeo. Che impone vincoli apparentemente più moderati e ragionevoli, però rigidamente vincolanti. A differenza del patto precedente che veniva direttamente dal trattato di Maastricht e che aveva degli obiettivi così irraggiungibili, da permettere a tutti una certa elasticità di bilancio.
Ora bisognerà tagliare davvero e per molti anni, ora l’Italia è davvero soggetta ad un piano di riduzione del debito pubblico che verrà concordato e controllato passo dopo passo con le autorità europee, come successe con i memorandum della Grecia. Nello stesso tempo le spese militari dovranno crescere almeno fino al 2% del Pil, come impone la Nato che anzi già chiede di andare oltre. Insomma il deficit pubblico dovrà scendere sotto il 3%, la spesa militare salire scopre il 2, e quando i due indici si incontreranno in Italia sarà in atto il massacro sociale. E questo spiega le nuove disposizioni di legge contro gli scioperi e le manifestazioni.
È paradossale, ma forse non tanto, che siano proprio le forze politiche di quella che una volta veniva chiamata destra sovranista, a subordinare il paese alla peggiore servitù verso la Nato e verso la Ue. D’altra parte non sarà certo il Pd euroatlantico l’alternativa per una politica davvero diversa.
La realtà è che gran parte della classe dirigente italiana ha fatto proprio il discorso americano di Giorgia Meloni sul patriottismo occidentale. La vera patria da difendere con le armi è l’Occidente, e in questa grande patria l’Italia è solo una provincia. Così il liberista guerrafondaio Mark Rutte non si è soltanto insediato al vertice della Nato, ma anche nel governo dell’Italia.
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