Verso l’Europa a due velocità: Tirana corre, Skopje nel limbo
L’ufficialità ancora manca, ma la strada è tracciata, hanno svelato più fonti diplomatiche. Ed è una strada pericolosa, hanno però evitato di aggiungere, perché di fatto “abbandona” per ora al suo destino un Paese balcanico che, dolorosamente e con coraggio, ha persino cambiato il suo nome per dimostrare il suo sincero europeismo. Paese, la Macedonia del Nord, che vedrà il suo cammino verso l’adesione alla Ue staccarsi da quello della vicina Albania, con cui procedeva a braccetto da anni, per la precisione dal 2022, quando furono formalmente lanciati i negoziati con le due nazioni balcaniche.
È quanto avrebbero deciso – l’annuncio arriverà a metà ottobre – gli ambasciatori dei Paesi membri della Ue, che hanno dato luce verde all’apertura dei cosiddetti “cluster” negoziali fondamentali per quanto riguarda Tirana. Questi cluster, ricordiamo, sono fra i più importanti e riguardano temi come appalti, statistica, sistema giudiziario e diritti fondamentali, giustizia, libertà e sicurezza e controlli finanziari. Secondo le nuove regole sul processo di adesione di nuovi membri alla Ue, questi sono i primi capitoli ad essere aperti e gli ultimi ad esser chiusi.
E Skopje? Skopje niente, almeno per il momento, con la Macedonia del Nord che vedrà dunque l’Albania mettere la freccia e superarla. «La Commissione attende con impazienza l’avvio il prima possibile dei negoziati sul cluster dei fondamentali con l’Albania e la Macedonia del Nord, una volta che la Macedonia del Nord avrà soddisfatto i criteri pertinenti concordati dal Consiglio», il laconico commento della portavoce Ue, Ana Pisonero. Parafrasi: buone, anzi ottime notizie per Tirana, che accelera verso l’obiettivo della bandiera blu a dodici stelle. E pessime per Skopje, che rimane al palo. Perché? Il problema è l’irrisolta tenzone tra Macedonia del Nord e Bulgaria, Paese Ue che da anni ha messo i bastoni tra le ruote al vicino balcanico, finché la minoranza bulgara in Macedonia del Nord non riceverà riconoscimento e tutela in Costituzione, come già oggi è per altri popoli come serbi, bosgnacchi, turchi e valacchi.
Skopje, ricordiamo, che dopo pressioni e un instancabile lavoro diplomatico ai fianchi da parte della Francia aveva accettato, nel luglio del 2022, di obbedire ai desiderata bulgari, in cambio della rimozione del veto da parte di Sofia. Ma i governi cambiano – a Skopje ora i nazionalisti sono di nuovo al potere – e nulla è accaduto nel frattempo per rispettare quello che il nuovo premier Hristijan Mickoski ha definito un «compromesso francese», da rinegoziare. Ora, dopo due anni, arriva infine la doccia fredda da parte della Ue, che da un lato permette all’Albania di sganciarsi dalla Macedonia del Nord e dai suoi problemi di vicinato, dall’altro di fatto congela la Macedonia del Nord in un limbo da cui non si vede l’uscita.
Limbo assai pericoloso, perché rischia di tarpare le ali all’europeismo dei macedoni, già provato dalla mancanza di passi avanti verso la Ue, mancati anche dopo la risoluzione della disfida sul nome con la Grecia. Si tratta di un «cattivo messaggio» ai cittadini, ha avvisato così Mickoski, ricordando che Skopje ha «fatto cose mai richieste» prima a un Paese candidato, senza risultati. Ma ora è tempo di dire basta ai «diktat». «Mi dispiace che il governo precedente abbia accettato tutto e, mentre derubava il suo stesso popolo, abbia sventolato la bandiera europea. Condivido l’opinione della stragrande maggioranza dei cittadini macedoni secondo cui non dovremmo più accettare condizioni basate su concessioni nazionali senza garanzie», ha rincarato. —
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