Il nuovo voto in condotta e l’inutilità di regole rudi e restrittive
Ma come ve lo immaginate uno studente che si meriti meno di sei in condotta? Un violento? Un asociale? Un ribelle senza regole? E come si sarà formato un tale adolescente? Educato da chi?
C’è, nella fantasia di certi commentatori, l’idea che i giovani di oggi siano tanto instabili perché prodotto di famiglie permissive. Evidenzio, di sfuggita, che si tratta del modello consumistico su cui costruiamo il Pil da molti decenni.
Certo, una volta i genitori erano assai più restii a dire sempre di sì. Ma non viene da pensare che se questa generazione di padri e madri avesse apprezzato quell’essere trattati dai loro genitori in modo più rude e restrittivo, se si fossero sentiti davvero formati, perché avrebbero rinnegato quello stile relazionale? Ha funzionato?
I figli della permissività sarebbero quindi un problema, pur essendo essi i nipoti della severità. Contro i giovani sbalestrati il sentiero più semplice, roboante e propagandistico, è quello della norma restrittiva. Applicata, a sentire il ministro Valditara, anche in materia di condotta scolastica.
Proviamo a simulare un caso. Uno studente, qui è non rilevante il genere, agisce in palese violazione delle regole di comportamento di un istituto: l’alunno in questione può mancare di rispetto al corpo docente, disturbare le lezioni, essere pericoloso per sé e per gli altri negli spazi dell’istituto, mettere in atto azioni violente, danneggiare i beni materiali. L’elenco specifico potrebbe essere vasto.
Cioè l’alunno, dimenticando di essere entrato in una comunità educatrice e formatrice, si comporta come l’adepto di una baby gang che infesta le nostre città. Eppure, a differenza dell’aggressività comportamentale esercitata nei quartieri cittadini a tutte le ore, come se si vivesse in un luogo vuoto e occupabile con la forza, quando si sente la campanella e ci si siede a un banco, si sa che si è in un luogo regolato.
Da dove nasce, allora, il non riconoscimento del luogo? Per il consesso di pensatori che gestisce il ministero della Pubblica Istruzione dipende dalla mancanza di misure punitive adeguate.
L’alunno che viola le regole lo fa perché crede di rimanere impunito. Quindi botte da orbi. Naturalmente in quest’ottica evaporano le cause che scatenano quei comportamenti: sono solo manifestazioni soggettive affrontabili, se non estirpabili, da una punizione.
Ma ci sarebbero, davvero, quegli studenti “mal viventi”, quei fautori dell’entropia contro l’ordine costituito, se dovessero confrontarsi con un consiglio di classe autorevole, con addirittura qualche docente maestro di relazioni e dialogo, con gruppi classe coesi, con una rete dialogante tra famiglia e istituzione? Sarebbero rari, e per tali numeri non si porrebbe il problema di scomodare riforme che sono solo botti di capodanno. Perché ti aiuto a crescere, non ad avere paura.
Certo, per avere luoghi scolastici così efficaci si sarebbero dovuto, da anni e anni, investire. Un costo che avrebbe sottratto risorse a mille faraonici progetti, magari avrebbe costretto, per ossigenare anche la sanità, a combattere l’evasione fiscale. Costa meno una riforma restrittiva e infastidisce meno le potenti cordate di interessi. L’istruzione non è tra questi. Funzionerebbe solo con la scuola dei balilla; se la scuola diventasse, piano piano, un luogo rieducativo, un po’ militaresco, con Vannacci prossimamente all’Istruzione, dove chi entra sa di essere in una caserma e ne accetta i limitati scopi.
Ma una scuola moderna e democratica è un luogo aperto, senza divise e sa che usare il voto di condotta come un’arma è l’ammissione di una ritirata di fronte al caos della società di cui rimane, sia pure traballante, un pilastro fondamentale.