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Сентябрь
2024

Disastro di Caluso, la sorella del macchinista morto ad Arè: «Mio figlio ricorda ancora quell’urlo»

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CALUSO. «Quando ho letto la notizia che Roberto era morto ero ferma al semaforo con mio figlio e ho urlato. Lui mi ha detto: mamma, io non so come faccio ad andare avanti con quest’urlo nella testa». I taccuini di Maria Antonietta Madau, sorella del macchinista Roberto, di Ivrea, morto ad Arè di Caluso il 23 maggio 2018 nel disastro ferroviario, sono la memoria storica del processo.

Appunta diligentemente ogni fase, ogni frase, ogni parola: ricorda date, nomi. E non perde un’udienza. Mercoledì scorso, però, è toccato a lei sedere al banco dei testimoni. Raccontare del rapporto con il fratello, commuovendosi e facendo commuovere i presenti e anche la sua avvocata, Maria Antonietta Nardella. Appena finisce di testimoniare, la legale si precipita fuori con lei, per consolarla.

È anche questo che il processo sul disastro ferroviario del 23 maggio 2018, con due morti e 21 feriti, racconta. La passeggera Manuela Amà, difesa dall’avvocata Cristina Donato, parte civile nel processo, dopo un intervento ha avuto 60 giorni di prognosi, ma il suo calvario non è finito lì. Ha dovuto affrontare una serie di interventi e ancora oggi le sue condizioni non le permettono di testimoniare in aula, come spiegato nel certificato prodotto dalla sua legale.

Tra i danneggiati dal carico eccezionale della Uab-Tlb diretto alla Bitux di Foglizzo, che ha causato l’incidente, rimasto tra le sbarre del passaggio a livello, c’è anche Trenitalia. L’ingegner Mauro Carnevale ha risposto alle domande dell’avvocato Elia Francesco Dispenza, che insieme ad Andrea De Carlo, cura la parte civile delle Ferrovie. Il danno subito quel giorno dal treno è stato stimato in oltre 4 milioni di euro - tre carrozze distrutte e tre riparate -, di cui 3,5 milioni già rimborsati dall’assicurazione.

Madau ha raccontato tutto del suo rapporto col fratello. Lo ha definito «simbiotico». «Eravamo uniti in tutto per tutto - spiega -, lui era molto protettivo nei miei confronti. Fin da quando ero bambina mi ha chiamato Cicci e ha continuato nel tempo a chiamarmi così». I treni erano nel destino di Roberto Madau. In questo punto le lacrime rompono la voce della sorella. «Fin da piccolo - spiega -, voleva diventare macchinista delle ferrovie. Quando riponevo nella cesta le mie bambole, tiravamo fuori da sotto il letto le rotaie, i modellini dei treni, mettevamo omini e casette sul tracciato. Lui faceva sempre il macchinista e io la capostazione».

I due crescono, ma il rapporto non si sfalda. Per lavoro Roberto viaggia molto e resta single. «La sua famiglia eravamo noi - spiega Madau -, lui ha mantenuto sempre un grande senso di protezione nei miei confronti. Quando abbiamo avuto dei problemi ci ha aiutato anche economicamente. Ci ha aiutato nel mantenere mio figlio negli studi universitari. Mi addolora non aver più mio fratello, mi addolora non avere più questo dono».

Madau poi racconta anche il modo in cui ha appreso della morte del fratello. Nella casa in cui l’uomo viveva a Ivrea, infatti, le forze dell’ordine non hanno trovato nessuno, visto che abitava da solo. I parenti lo hanno saputo dai media. Lei lo ho letto sul cellulare, il giorno dopo la tragedia, mentre era ferma al semaforo: il figlio la accompagnava a fare gli esami del sangue.