I cervelli italiani che fecero i primi studi sull’Ai
Per quanto l’intelligenza artificiale sia divenuta solo recentemente un tema centrale per la società contemporanea, la sua nascita viene comunemente fatta risalire agli anni ’50 e a due eventi in particolare: la pubblicazione, da parte di Alan Turing, del famoso articolo "Computing Machinery and Intelligence" (1950), in cui il grande matematico si chiede se le macchine possano pensare e introduce il celebre test che porta il suo nome, e la conferenza di Dartmouth, del 1956, la prima dedicata al tema dell’Ia, dove si riunirono alcuni dei “padri fondatori” di questo campo di studi, tra cui John McCarthy, che ne fu il laico officiante, battezzandola con il nome con cui è poi diventata nota.
Spostandosi in Italia, all’inizio della seconda metà del Novecento fu Pisa a fare da apripista alla disciplina, con la sua Università e con l’Istituto per l’Elaborazione dell’informazione del Consiglio nazionale delle ricerche.
Quindi, negli anni Ottanta, vide la luce a Trento l’Istituto per la ricerca scientifica e tecnologica - Irst, uno dei maggiori centri europei dedicati alla ricerca sull’intelligenza artificiale: sulle colline di Povo, in un grande edificio con pareti di colore alluminio e infissi azzurri, si riunirono alcune delle menti più brillanti del secolo, con l’obiettivo di studiare tutte le possibili declinazioni di questa nuova disciplina, dalla visione al riconoscimento del parlato, dal linguaggio naturale alla logica e al ragionamento, fino ai fattori puramente umani.
A ricordarlo, nel saggio “Meglio artificiale che niente. Cronache dall’intelligenza nella collina” (Guerrini e Associati editore, 2024, pagg. 245, euro 21,50), è il triestino Oliviero Stock, pioniere dell’intelligenza artificiale in Italia e autore di ricerche fondamentali nel campo della linguistica computazionale, che dal 1987 lavorò all’Irst di Trento e dal 1997 al 2001 lo diresse.
Stock, che presenterà il volume al Circolo della Stampa di Trieste giovedì 26 settembre alle 17.30, introdotto da Pierluigi Sabatti e in dialogo con Andrea Sgarro, matematico triestino, professore ordinario di informatica all’Università e caro amico dell’autore, ripercorre in questo volume la storia di quest’iniziativa di assoluta avanguardia, nata in un contesto particolare di autonomia politica, secondo una prospettiva personale: pur non disdegnando il racconto degli aspetti più tecnici della ricerca, si concentra maggiormente sulla narrazione di fatti e episodi vissuti all’interno del centro, sulla quotidianità dei suoi protagonisti e sulle emozionanti scoperte di un drappello di ricercatori che, con i loro studi ed esperimenti, seppero fare la storia.
Non a caso “Meglio artificiale che niente” inizia mettendo a fuoco la scena di un gruppo di giovani che scavalca l’inferriata del cancello dell’Irst in piena notte, dopo aver sgobbato fino a tardi su una demo, il frutto visibile della loro ricerca nel campo dell’Ia. Hanno lavorato fino a notte fonda, del resto, ironizza l’autore, “si narra che un ricercatore sia una persona che dice al consorte che va dall’amante e invece va a lavorare”.
Sono alcune tra le menti più brillanti dell’epoca, che riunite sotto la direzione di Luigi Stringa, amministratore delegato di importanti aziende statali con il pallino dell’Ai, rendono l’Irst un centro di assoluta avanguardia nel panorama italiano.
Ma sono molti i nomi di scienziati e innovatori di rilievo ricordati nel volume, che ripercorre la carriera di Stock dagli albori pisani fino agli sviluppi trentini, con incursioni negli States, da Berkeley a Palo Alto: ci sono gli informatici Franco Sirovich, con cui Stock realizza la sua ambizione, il primo analizzatore automatico di frasi in Italia, e Luigia Carlucci Aiello, meglio nota come Gigina, prima presidente dell’Associazione italiana per l’intelligenza artificiale. C’è l’amico Andrea Sgarro, geniale matematico triestino, c’è Federico Faggin, l’inventore del primo microprocessore, e c’è Antonio Zampolli, direttore della divisione di linguistica computazionale del Cnr e parente dei gelatieri più celebri di Trieste, che si stupisce per non essere stato interpellato da Stock, triestino doc, su questa sua consanguineità.
E, fatto ancor più sorprendente, c’è un Giulio Andreotti che, nel 1989, poco prima di essere nominato primo ministro per la sesta volta, viene in visita a Trento e, incredibilmente, perde tutto il suo eloquio davanti alle spiegazioni di Stock, che gli illustra il funzionamento di AlFresco, uno dei primi sistema di dialogo in linguaggio naturale ideati all’interno di quell’avanguardistico centro ricerche.
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