Un ponte tra Veneto e Toscana per il trapianto a cuore fermo eseguito dal prof Gerosa
In una torrida giornata agostana, mentre i più erano impegnati a godersi le vacanze, l’asticella della scienza applicata ai trapianti, si è spostata un po’ più in alto.
Per la prima volta in assoluto, in Italia, un trapianto a cuore fermo ha valicato i confini regionali in un ponte che ha unito Toscana e Veneto.
A fare la differenza, ancora una volta, la Cardiochirurgia dell’Azienda Ospedale Università guidata dal professor Gino Gerosa che nel maggio di un anno fa aveva eseguito per primo al mondo il trapianto di un cuore fermo controllato per venti minuti.
Allora, l’eccezionalità era stata proprio nell’attesa protratta prima di poter riattivare l’organo: non dopo due minuti dallo stop, come avviene in Australia, o dopo 5 come succede in Inghilterra, ma dopo 20 minuti, come richiede la legge italiana per certificare la morte con criteri cardiologici: «Un tempo inattaccabile dal punto di vista etico» dice Gerosa.
Da allora, Padova ha fatto scuola, insegnando la tecnica in giro per l’Italia. Circa un mese fa, tuttavia, al tempo è stato è aggiunto un nuovo tassello, ovvero quello dello spazio, valicando i confini regionali.
Fino ad allora, trapianti di questo tipo erano stati realizzati solo all’interno dello stesso ospedale o tra strutture della medesima regione.
Ma andiamo con ordine: ad agosto, nell’Azienda universitaria ospedaliera di Pisa, si verifica la presenza di un giovane potenziale donatore a cuore fermo. La macchina del Centro nazionale trapianti guidata da Giuseppe Feltrin si attiva per salvare il maggior numero di vite possibile: oltre al cuore verranno trapiantati anche fegato e reni.
Ma il trapianto di cuore a organo fermo non è ancora entrato nella routine, serve perizia per evitare che si creino situazioni di sofferenza tali da renderlo inidoneo al trapianto: è necessario mettere in atto tecniche specifiche e un rigoroso rispetto dei tempi.
«Ci hanno chiamati e siamo partiti subito in ambulanza in direzione Pisa» racconta il professor Gerosa «una volta arrivati all’ospedale abbiamo verificato le condizioni dell’organo: non possiamo permetterci di sbagliare i calcoli sulle prospettive una volta reimpiantato.
Abbiamo fatto ripartire il cuore quando era ancora all’interno del donatore per poterne valutare il funzionamento e una volta accertate le condizioni lo abbiamo rifermato, espiantato e siamo ripartiti alla volta di Padova dove un paziente in lista d’attesa aspettava un cuore nuovo».
Ma, come detto, per la prima volta, alla sfida sul tavolo operatorio sono state aggiunte le distanze: «Abbiamo preso un aereo per Venezia e poi di corsa a Padova dove siamo entrati immediatamente in sala operatoria: bisogna restare nei limiti delle 4 ore dall’espianto, altrimenti si rischia che il cuore non riparta». Così non è stato: il paziente è stato dimesso ed è in buone condizioni.
«Dal maggio dello scorso anno abbiamo eseguito 34 trapianti a cuore fermo in sette centri italiani» rivela Gerosa «con una sopravvivenza dell’organo del 100%.
Un risultato che verrà presto pubblicato su “Circulation”, la più importante rivista di settore e che conferma come siano stati in grado di smontare il paradigma sostenuto dagli americani, secondo cui non si poteva arrivare a un’ischemia superiore ai 30 minuti» conclude annunciando che nel frattempo l’asticella è stata già spostata ulteriormente.
«La Medicina è da sempre condivisione di conoscenze ed esperienze a favore dei pazienti e del costante progresso di tecniche e terapie» plaude il governatore Luca Zaia «orgoglioso che il prelievo abbia visto coinvolto il personale di una struttura sanitaria veneta di eccellenza. La Medicina è da sempre condivisione di conoscenze ed esperienze a favore dei pazienti e del costante progresso di tecniche e terapie».