Niente smartphone ai bambini
Sarebbe un modo per spingerli a conoscere la vita direttamente, gradualmente e con più supporti, senza la mediazione di un solo totem in forma di telefonino; e con la vita incontrare la conoscenza a vari livelli, la varietà dei saperi, le esperienze reali sul campo, i rapporti sociali con la i finale; la prossimità, i libri, le visite ai luoghi d’arte, storia e cultura; insomma il mondo reale che ti sta intorno. Sarebbe un modo per far conoscere altri mondi oltre quello telefonico, per avere termini di paragone tra il reale e il virtuale, tra il prossimo e il remoto, tra la vita e i mezzi tecnologici; e per affrontare con più ricchezza di esperienze e meno dipendenze, il passaggio all’età adulta. Certo, il divieto non passerebbe così facilmente, senza reazioni e contrasti, anzi ci sarebbe sicuramente un’insubordinazione diffusa, dagli esiti imprevedibili. C’è il pericolo di reazioni estreme dei ragazzi, come il caso della tredicenne di Perugia suicida dopo che i genitori le avevano tolto il telefonino. C’è la scusa delle madri che il telefono dà sicurezza, rende i minori rintracciabili e controllabili. Certo, senza telefonino compenserebbero con la tv o il pc usato come tablet; la dipendenza slitterebbe su altri mezzi. Certo, si può diventare phone-dipendenti anche in età adulta, e perfino in età senile, come capita a molti che non sono nativi digitali ma ci sono arrivati in tarda età e non ne possono più fare a meno. Dunque, è possibile che si tardi solo di qualche anno la patologia della dipendenza dal telefonino.
Ma quando si è piccoli, quando si ha poca vita alle spalle, la personalità è più influenzabile, più fragile e suggestionabile. E agli adulti, al di là della retorica della libertà, vietato vietare e autonomia assoluta e universale, minori inclusi, tocca invece il compito di educare, e dunque di porre limiti e anche divieti, guidare, dare indicazioni ai minori. Perché prima dei 14-15 anni, spiega il pedagogista Novara «il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi». E prosegue: «Non è un appello simbolico, né una provocazione. Ci siamo confrontati con politici e istituzioni e c’è un consenso trasversale, da sinistra a destra. I tempi sono maturi, contiamo che l’Italia sia il primo Paese a dare una svolta. Non possiamo stare a guardare un’intera generazione annegare negli smartphone. La situazione è fuori controllo». Gli esperti nel loro appello fanno notare: «La nostra non è una presa di posizione anti-tecnologica ma l’accoglimento di ciò che le neuroscienze hanno ormai dimostrato: ci sono aree del cervello, fondamentali per l’apprendimento cognitivo, che non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere nel mondo reale».
Massimo Gramellini sul Corriere della Sera, pur sottoscrivendo idealmente l’appello, lo reputa impraticabile e auspica, anziché il divieto, l’invito a un uso più responsabile dello smartphone: ma quando si scende al livello di esortazioni (o al più all’attivazione del «parental control») tutto si perde nel vago delle raccomandazioni, del tipo vai piano, non bere troppo, stai lontano dalla droga. Non serve a niente se non a sollevare la coscienza delle anime belle e poi lasciare le cose come stanno. Salvo dire: Io gliel’avevo detto... È vero, è difficile imporre oggi un divieto, e di quel tipo, per giunta; più difficile ancora è farlo davvero osservare. Quel divieto dovrebbe rientrare in una riforma-rivoluzione nell’educazione dei bambini e degli adolescenti e nei rapporti sociali di portata ben più ampia e radicale. Ammirevole il proposito di evitare l’uso degli smartphone a scuola ma non basta per rendere veramente efficace un ripensamento radicale dalla loro dipendenza.
Un divieto di questo genere dovrebbe essere esteso al resto d’Europa e nel mondo, per essere più efficace. Non mancano però iniziative analoghe in altri Paesi: per esempio è sorto un movimento fondato da due mamme inglesi, il gruppo conta oltre 100 mila adesioni e si espande anche negli Stati Uniti. Oltre a nuove leggi, sostengono, è necessario l’impegno delle Big Tech; difficile però chiedere alla grande industria della telefonia mobile di autolimitare le possibilità di vendita e di profitto nel nome di una campagna etica e pedagogica. Più realistico pensare che siano gli stati, le istituzioni, i governi, ad affrontare il problema con leggi, campagne e strategie mirate.