Cura per l’Alzheimer ancora lontana, dai farmaci testati risultati troppo scarsi
Il 25 luglio scorso la European Medicines Agency (Ema), l’ente che dà il nulla osta all’utilizzo dei farmaci in tutti i Paesi europei, ha negato l’autorizzazione all’uso clinico del lecanemab, un anticorpo monoclonale che rallenterebbe il declino cognitivo se somministrato nei primi stadi del morbo di Alzheimer. È stata una decisione sofferta e che ha destato non poche discussioni visto che il farmaco è già approvato negli Usa, Giappone, Cina, Corea del Sud, Israele e Emirati Arabi Uniti.
Sono passati più di 120 anni da quando Alois Alzheimer, un patologo tedesco, per primo descrisse un’«inusuale malattia della corteccia cerebrale» in una sua paziente, Auguste D. La malattia aveva causato perdita della memoria, disorientamento e allucinazioni, fino alla morte a 50 anni.
All’autopsia, Alzheimer aveva notato varie anomalie nel cervello, in cui la corteccia era particolarmente rimpicciolita e raggrinzita e mostrava la presenza di grovigli anomali di fibre nervose e placche di materiale amorfo. Presentò il caso di August D. al 37esimo Congresso di Psichiatri della Germania del Sud nel 1906. Fu solo nel 1984 che due ricercatori statunitensi dimostrarono che le placche di materiale amorfo nel cervello dei pazienti con la malattia sono costituite da un piccolo frammento di una proteina, chiamato amiloide beta. Da quel momento, l’amiloide beta è diventata il fulcro della ricerca, considerata la causa della malattia e quindi il principale bersaglio delle terapie da sviluppare. Il nuovo anticorpo monoclonale bocciato dall’Ema è soltanto l’ultimo di una serie di tentativi di bloccare la deposizione di questa proteina o di favorirne lo smaltimento.
La situazione del morbo di Alzheimer è disperante. Ne soffre ormai quasi una persona su tre dopo gli 80 anni, in un momento storico in cui l’aspettativa di vita media generale ha superato di gran lunga questa età sia per gli uomini che per le donne. Sono ormai 55 milioni le persone al mondo che soffrono di una demenza, nel 60% causata dal morbo di Alzheimer. Ne muoiono più persone di quante muoiano per tumore della mammella o della prostata messi insieme.
E, dramma nel dramma, non esiste alcuna terapia che abbia un impatto significativo sull’evoluzione della malattia o sulla sua regressione. Non perché i finanziamenti siano stati scarsi, o l’impegno della ricerca insufficiente.
Un editoriale di un paio di anni fa su Nature Medicine sulla terapia dell’Alzheimer portava lo sconfortante titolo “La lunga strada per una cura al morbo di Alzheimer è lastricata di fallimenti”, visto che il 99% delle oltre 400 sperimentazioni cliniche condotte aveva portato a risultati negativi. All’inizio del 2018, il gigante farmaceutico Pfizer, terzo gruppo al mondo, si è ritirato dalla ricerca sulle malattie neurogenerative, inclusa quella sull’Alzheimer, sopprimendo centinaia di posti di lavoro nelle sue sedi americane, dopo aver sponsorizzato almeno 99 sperimentazioni con 24 farmaci diversi.
Uno spiraglio di luce sembrava essere venuto nel 2021 con l’approvazione, da parte dell’Fda statunitense, di un primo anticorpo monoclonale contro l’amiloide beta, l’aducanumab. Ma fu un’approvazione così controversa che tre membri del comitato dell’Fda preposto all’approvazione dei farmaci diedero le loro dimissioni per protesta, accusando l’Fda di essere influenzata dalle case farmaceutiche, un’accusa poi provata vera da una commissione del Congresso americano.
Negli Stati Uniti, comunque, le compagnie assicurative non erano convinte dell’efficacia del farmaco e si sono rifiutate di approvarne il rimborso, tanto che l’azienda produttrice lo ha ritirato dal mercato all’inizio di quest’anno.
Poi nel 2023 è iniziata la saga del lecanemab, l’anticorpo monoclonale ora rigettato dall’Ema. La Fda l’aveva approvato lo scorso anno nonostante molte perplessità a causa dell’efficacia modesta a discapito di effetti collaterali importanti, tra cui edema e sanguinamento cerebrale che si erano associati alla morte di quattro pazienti durante le sperimentazioni.
In Inghilterra, il farmaco è stato autorizzato per l’uso ma ne è stato anche vietato il rimborso con fondi pubblici, vista la modesta utilità. L’ultima sentenza dell’Ema di luglio che ne vieta l’uso in Europa è stata ora appellata dalla casa produttrice, la giapponese Esai. Un terzo anticorpo monoclonale contro la beta amiloide, il donanemab, prodotto dalla Eli Lilly, ha avuto anche questo la pre-autorizzazione della Fda a giugno di quest’anno, ma i suoi effetti nelle sperimentazioni cliniche sembrano ancora più modesti e poco duraturi.
Questa scarsa efficacia di tutte le terapie finora sviluppate contro la beta amiloide lascia alquanto frastornati. In molti stanno cominciando a pensare che le placche non siano la sua reale causa ma un evento collaterale, e che i reali meccanismi che causano la malattia siano forse diversi e non ancora compresi.
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