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Сентябрь
2024

Caso Salvini e la magistratura: perché da trent’anni è così difficile (ma necessario) cambiare le cose

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Riceviamo e pubblichiamo:

Caro Direttore,

funziona così: gli elettori votano Matteo Salvini (o meglio, il suo partito) e quest’ultimo diventa una forza dell’unica maggioranza di allora (è il 2018)  disposta a formare un governo. Il partito di Salvini annovera tra le sue promesse elettorali quella di combattere l’immigrazione clandestina e gli sbarchi. Con tutti i suoi limiti, che in questa sede non abbiamo tempo di approfondire, Salvini  “esegue” la promessa da ministro dell’Interno del cosiddetto governo “gialloverde”. Dunque blocca gli ingressi ai porti sin dal giugno di quello stesso anno, scatenando un putiferio di accuse non solo dalle Ong, ma anche dalla solita sinistra e – manco a dirlo – dagli ambienti di Bruxelles.

Salvini eletto per “fare cose”, anzi no

Il problema è che Salvini fa anche “incacchiare” la indipendententissima magistratura italiana, la quale pensa bene di ignorare il mandato popolare e di incriminare l’ex ministro per sequestro di persona a causa di uno dei numerosi blocchi avvenuti nel 2019, quando impedì l’approdo di Open Arms con a bordo 147 migranti non regolari.

La magistratura è, ovviamente, organo composito: diciamo pure che il messaggio generale che passa sia sempre lo stesso, al netto dell’operato di tutti i giudici bravi e onesti che non vanno ignorati, ma sostenuti e apprezzati. Così il Pm, oggi, a cinque anni di distanza dal fatto incriminato, ha chiesto per l’ex ministro la bellezza di sei anni di reclusione.

Ovviamente il tutto spacciato per difesa del cosiddetto “ordinamento democratico”. Una democrazia sui generis, come direbbe il vecchio Antonio De Curtis con fare irridente, visto che non prende minimamente in considerazione (oltre al ruolo per cui veniva pagato Salvini) le elezioni stesse, la formazione dei governi e il mandato popolare.

La politica non ha il potere di cambiare le cose

È la triste realtà, soprattutto su temi sensibili come quello della lotta agli sbarchi. L’udienza del 14 settembre è stato l’ennesimo capitolo oscuro di una storia che prosegue imperterrita da oltre trent’anni. Cominciata con “Mani pulite” nel 1992, è degenerata con Silvio Berlusconi e ha preso di mira un numero infinito di altri pesci non graditi (qualcuno anche a sinistra). Magistratura democratica, un’espressione che sentiamo da decenni ma che sembra non esistere. Eppure è reale, concreta, palpabile. Perché corrisponde a un gruppo di potere reale, tanto nell’Associazione nazionale magistrati che nel Consiglio superiore della magistratura.

Lo è così tanto che pochi anni fa uno scandalo, quello di Luca Palamara, scoperchiò le intolleranze di una casta (o comunque di una parte di essa) per una questione di nomine “disobbedita” dal signore in questione, il quale venne espulso dall’Anm e divenne il capro espiatorio di un sistema che di limpido ha dimostrato di possedere negli anni molto poco. Quello scandalo venne messo su carta, ossia su un libro, Il Sistema, che ha venduto centinaia di migliaia di copie ma che sembra non sia mai uscito, similmente alla corrente summenzionata.

Lo è così tanto che se si vanno a leggere gli statuti e i programmi delle cinque correnti interne ai giudici l’unica a contenere punti di programmazione politica è proprio Magistratura Democratica , la quale tra i suoi scopi annovera concetti come “la protezione delle minoranze”, e la “integrazione comunitaria”. Entrambi sono progetti politici, ma i giudici – scriviamo una banalità, ogni tanto serve – non sono pagati per realizzarne, bensì per “indagare” e per “giudicare”.

Le origini e le radici

Il tema meriterebbe un approfondimento: in questa sede basti pensare che negli scopi di Unità per la costituzione (https://www.unicost.eu/statuto/) si citano modalità di selezione, modelli di magistrati da perseguire, o i rapporti con le istituzioni. Idem in Magistratura indipendente e in Autonomia e Indipendenza. Ma perfino l’altra corrente di sinistra (Movimento per la giustizia: https://www.questionegiustizia.it/articolo/movimento-per-la-giustizia-la-sua-storia) sebbene provvista di un regolamento ricco di elementi anche “politici” non si rivela così strutturata come Md.

L’effetto generale,  al di là di queste differenze, è che le correnti della magistratura siano percepibili a tutti gli effetti come dei movimenti politici. Come quelli in parlamento, che in qualche maniera in questo frangente potremmo considerare il Csm: con l’importante particolare di non essere stati votati da nessuno, a differenza dei parlamentari. Sono, insomma, dei blocchi “decidenti” o quanto meno ostativi alle decisioni altrui. La spada di Damocle della magistratura orientata, infatti, non può avallare scelte governative che contrastino con il comandamento di Md di “tutelare le minoranze” e quindi anche i migranti. Sono passati trent’anni ma non è cambiato nulla. Potrebbe, si spera, cambiare grazie al ministro Carlo Nordio, ma la strada è ancora irta di ostacoli.

 Il caso Salvini e la sfiducia nella magistratura degli italiani

Sullo sfondo, una certezza ormai consolidata: la politica non dispone del potere necessario per realizzare progetti e visioni. O, se preferite, lo possiede a patto di non urtare la sensibilità di chi può fermarla o scoraggiarla. Perché la domanda finale di questo ragionamento non può essere elusa: quanti presenti e futuri ministri dell’Interno potrebbero avere voglia di affrontare processi che durano anni solo per fare il loro dovere?

Agli italiani, gli stessi che oggi nutrono una fiducia minima nei magistrati (calata ormai al 40%, secondo i sondaggi dell’anno scorso: https://www.ilgiornale.it/news/interni/fiducia-nei-giudici-crollata-70-40-s-i-pm-anti-mafia-sono-2108457.html) l’ardua sentenza.

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