Falso infortunio a Monfalcone: «Sono caduto a casa». Ma era successo in un cantiere
Si è infortunato nel corso dell’attività di montaggio di un’impalcatura, nel cantiere dov’era stato destinato dall’impresa per cui lavora, cadendo da un’altezza di quasi tre metri. Ha riportato lesioni agli arti inferiori, ed è stato sottoposto a un intervento chirurgico all’ospedale San Polo. Il lavoratore, ultracinquantenne di origini rumene, dipendente di una ditta edile e residente a Monfalcone, sta affrontando un’esperienza penosa e difficile non solo in termini di recupero del suo stato di salute, per il quale peraltro al momento non risulta ancora chiara la prospettiva di una ritrovata piena funzionalità delle gambe, ma anche per la possibilità di vedersi riconosciuti i propri diritti. Il datore di lavoro, infatti, a oggi non ha ancora proceduto alla denuncia dell’infortunio.
Il lavoratore s’è rivolto così al sindacato, in questo caso la Cgil, che ha aperto la vertenza. Una situazione che si profila gravida di possibili risvolti illeciti. Questo perché il lavoratore sarebbe stato indotto a dichiarare di aver subito un incidente domestico. I rappresentanti della Cgil si sono fatti carico dello spinoso caso. Thomas Casotto, segretario di Gorizia e Monfalcone, Michele Orlandini, della segreteria, Massimo Marega, segretario regionale di Fillea Fvg, ed Enrico Coceani, segretario di Fillea Gorizia e Trieste, sono decisi ad andare fino in fondo. «Circa due settimane fa - spiegano i sindacalisti - nei nostri uffici è giunta la segnalazione di una situazione ritenuta subito grave. Al lavoratore era stato impartito il compito di recarsi in un cantiere per allestire un’impalcatura, compito da eseguire da solo, senza quindi essere affiancato da altri colleghi». Le sequenze dell’evento scorrono. L’operaio si era messo all’opera, la temperatura tra i 35 e i 36 gradi. Montato il primo piano del ponteggio, le mani occupate dalle attrezzature di lavoro, l’uomo è scivolato, finendo a terra. Rimasto cosciente, ma incapace di rialzarsi e tantomeno di camminare, l’operaio - questa la ricostruzione - ha chiamato l’azienda con il suo cellulare informandola di quanto accaduto. Secondo le procedure, infatti, spetta al soggetto datoriale provvedere all’avvio degli interventi e alle relative comunicazioni, a partire dall’attivazione dei soccorsi. Avvisata l’impresa, nel cantiere è giunto un parente del titolare, che ha caricato il lavoratore in auto portandolo nella sua abitazione, a Monfalcone. Con ciò invitandolo a rivolgersi all’ospedale per l’assistenza sanitaria e a dichiarare di «aver subito l’incidente in casa». In caso contrario, riferiscono sempre i sindacalisti, «avrebbe perso il lavoro». Il rumeno, non senza difficoltà, è entrato nel suo alloggio e ha chiamato il 112 fornendo in prima istanza la versione “suggeritagli”. Versione ribadita anche agli operatori sanitari del Pronto soccorso che hanno eseguito gli accertamenti clinici. Gli stessi medici hanno sollevato dubbi sulle cause dell’incidente rispetto all’entità delle lesioni, non compatibili a una caduta in casa. L’uomo è stato, quindi, sottoposto a un intervento chirurgico. Da qui la vertenza sindacale. Così i rappresentanti della Cgil: «A quanto ci consta, l’Azienda sanitaria ha aperto la procedura per infortunio sul lavoro, ma sembra che l’impresa non abbia ancora provveduto alla relativa denuncia. Da parte nostra, dopo aver parlato con il lavoratore e aver raccolto la sua formale dichiarazione, siamo in attesa di riscontri dalla ditta. Va garantito il riconoscimento dei diritti spettanti al dipendente, unitamente al rispetto degli obblighi datoriali». «Già il fatto che il dipendente abbia eseguito da solo quel tipo di attività nel cantiere pone la questione in termini di prevenzione e sicurezza rispetto al verificarsi di possibili problematiche o incidenti», aggiungono i sindacalisti: «Intendiamo chiarire l’intero quadro della vicenda per agire di conseguenza».
Le argomentazioni si spostano su un piano più generale quando i delegati Cgil rilevano che «in molti casi le aziende premono affinché gli infortuni sul lavoro subiti dai propri dipendenti appaiano come circostanze diverse, spostandone cause e luoghi in tutt’altri contesti. Va inoltre considerato il fatto che il 65% dei lavoratori stranieri risulta molto più esposto a eventuali pressioni nel far leva su una serie di conseguenze legate al loro specifico “status”, come i permessi di soggiorno».