Il paesaggio interiore di Mario Rigoni Stern, tra Altipiano dei Sette Comuni e vette Dolomitiche
La biografia Mario Rigoni Stern. Un ritratto (Laterza, 2021) di Giuseppe Mendicino ricostruisce la figura di uno dei più grandi scrittori del Novecento italiano, intellettuale da sempre oggetto di attente riflessioni che prendono spunto proprio dal paesaggio che lo vide muovere i primi passi, divenuto poi un leit motiv della sua produzione letteraria. Le dolci colline dell’Altipiano e le cime dolomitiche lontane all’orizzonte sono sempre state presenti nella sua mente, anche quando il giovane Mario, a migliaia di chilometri di distanza da casa, sergente maggiore degli alpini, guidò il suo plotone verso la salvezza durante la ritirata di Russia. E così a 103 anni dalla nascita e a 16 dalla scomparsa, un’escursione tra le montagne di Rigoni Stern è l’occasione per rivivere il fascino senza tempo di un paesaggio e di un ambiente umano che è dovere morale e civile proteggere.
Ci guidi lungo l’Altipiano di Asiago, luogo di formazione del paesaggio interiore di Rigoni Stern...
«Vie e sentieri che lo videro protagonista raccontano la bellezza della piana di Asiago e dei Sette Comuni, che affascina da sempre per la dolcezza dei suoi declivi: ma da alcune cime e forcelle si possono ammirare sul filo dell’orizzonte le Dolomiti di Brenta, le Alpi del Cevedale, il Lagorai, le Pale di San Martino. Senza dimenticare il mare della laguna di Venezia, visibile nelle giornate più terse. Rigoni Stern visse la maggior parte della sua vita in un ambiente montano particolare, tra boschi, alpeggi e pascoli, il tutto illuminato da una luce indescrivibile. È corretto sia scrivere altipiano sia altopiano, ma Rigoni preferiva il primo, perché più utilizzato nei documenti storici e perché lo usavano autori da lui particolarmente stimati come Emilio Lussu (Un anno sull’altipiano) e Luigi Meneghello (I piccoli maestri)».
Montagne, certo, mai disgiunte dalla forte introspezione che lo caratterizzava.
«Questo paesaggio era anche il suo orizzonte interiore: Mario Rigoni Stern era esattamente così, severo come le sue montagne, ma al tempo stesso dolce e malinconico come le atmosfere che promanano da certi angoli dell’altipiano. Siamo immersi tra boschi, colline e montagne, appena sopra la pianura veneta. La sua stessa casa natia rappresentava bene un ambiente che lo avrebbe segnato e accompagnato per tutta la vita».
In che senso, ci perdoni?
«Dagli scritti si può cogliere l’affetto che lo legava alla sua vecchia casa di via Ortigara. Sulle pareti interne – racconta - si stagliava d’inverno un gioco di luci e ombre, intervallate dal riflesso dei bagliori della stufa di cotto. Quelle pareti rappresentavano una sorta di orizzonte interiore, un cielo stellato accompagnato dallo scoppiettio della legna che interrompeva il silenzio delle lunghe sere invernali».
E poi c’era la neve…
«Una presenza fondamentale in molte sue opere. Lo scrive anche nel suo ultimo libro, Stagioni: “Sono nato alle soglie dell’inverno, in montagna, e la neve ha accompagnato la mia vita”. Dalle nevicate dei suoi primi anni, dense di giochi e voli con sci di fortuna, alle steppe innevate della ritirata di Russia, allo sci di fondo in altipiano, praticato sino ai suoi ultimi anni».
Una poetica saldamente ancorata alle sue origini...
«Immaginiamo l’Asiago degli anni della sua infanzia: parliamo di una comunità profondamente ferita dalla prima guerra mondiale, posta a mille metri di altitudine nel cuore dell’Altopiano dei Sette Comuni, del tutto insostituibile nel suo processo di formazione culturale e spirituale. E pensiamo alla circostanza che anni dopo, cioè al ritorno dal fronte orientale, nella primavera del 1943, Rigoni non l’avesse mai più abbandonata. Questo giusto per capire il tipo di legame…».
Così è nata la sua passione e il suo “mestiere” di biografo? Il “Ritratto” che ne ha colto nasce anche da un fitto scambio epistolare con Rigoni Stern.
«Perché la sua vita e le sue opere meritavano di essere approfondite. Per rendere più fluide le sue storie, evitava giustamente di inserire troppi dettagli e digressioni. Ho pensato fosse importante ricostruire e precisare, per capire meglio chi era Mario Rigoni Stern, e come erano nate tante sue storie, di guerra e di natura, di passioni e di civiltà. A volte ho trovato notizie negli archivi, nei luoghi dove aveva vissuto, altre volte le chiedevo direttamente a lui, durante interviste registrate o per lettera. Non mi accontentavo di leggere i suoi racconti, e così ho visitato paesi, montagne, sentieri, la sua casa. Insomma una “lettura sul campo”. Così, una volta visitati i suoi luoghi, gli scrivevo impressioni e riflessioni, e gli inviavo fotografie. E lui una volta mi rispose: “Lei è come se viaggiasse per me”».
Un valore speciale, quelle lettere…
«Le lettere sono sempre state importanti per lui, specialmente in guerra. Dobbiamo comprendere e immedesimarci in quella generazione al fronte. Nella prefazione a un libro sulle lettere di soldati dal fronte, Rigoni era stato chiaro: “…il momento in cui arrivava in linea il furiere con la posta era il più atteso. Speranze, sogni, delusioni anche. C’era tutto un mondo, un paese, una maniera di vivere in quelle parole tracciate a fatica con penna e inchiostro, e chi non riceveva una cartolina restava in solitudine e tristezza”».
Le interviste sono state importanti vero?
«E’ stato emozionante ascoltare Mario Rigoni Stern che parlava di boschi e di urogalli, del suo altipiano aggredito dalla speculazione edilizia e dalle esercitazioni militari, di manoscritti ingiustamente respinti dagli editori, come quelli di Tina Merlin e di Dianella Selvatico Estense. Natura, etica e indignazione civile, interesse per scritti altrui: era un uomo libero e appassionato, con un discreto senso dell’ironia, e uno dei migliori narratori del nostro Novecento».
Immaginiamo come custodisca le sue lettere!
«In realtà ho deciso di donare l’intero mio “Fondo Mario Rigoni Stern”, composto di lettere (di Rigoni e di altri personaggi con lui in guerra), anche alcune sue dalla Russia, prime edizioni dei suoi libri e di autori a lui vicini, con dediche mai banali, tutte le edizioni straniere delle sue opere, suoi ritratti realizzati da artisti, saggistica sulla guerra in altipiano e sulla Seconda guerra mondiale, e molto altro, a una Istituzione che lo custodisca, lo cataloghi e lo renda consultabile e accessibile a studenti a appassionati. Conserverei ancora e con affetto questo Fondo, messo insieme in tanti anni di appassionate e faticose ricerche, ma penso che la cultura non debba restare chiusa negli archivi, deve essere usufruibile da tutti e senza troppe difficoltà».
Come furono i suoi ultimi giorni?
«Leggeva, come sempre, la moglie Anna mi raccontò che il suo ultimo libro fu L’idiota di Dostoevskij, letto una prima volta nel dopoguerra. Quando capì che stava per morire, volle farsi accompagnare per l’ultima volta dai figli sui luoghi più cari dell’Altopiano di Asiago, per ritrovare ricordi intimi e personali. La notizia della morte, avvenuta il 16 giugno del 2008, venne data solo dopo il suo funerale, celebrato con modalità semplici e sobrie, seguendo le sue volontà».