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Сентябрь
2024

Se sciopera anche il Vaticano

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Il disagio serpeggia tra i dipendenti di varie istituzioni della Santa sede, che fanno da suo polmone finanziario. Dai celeberrimi Musei alla farmacia e al supermarket interni: ci si lamenta per mancati aumenti e per ventilate privatizzazioni. E presto la protesta può prendere forme mai viste prima.

Dal Vangelo secondo Matteo: «Quando fai l’elemosina non sappia la tua sinistra cosa fa la tua destra». Ai dipendenti vaticani però questa evangelica riservatezza sembra più farisaica che cristiana perché - scrivono in un documento - all’ombra del cupolone ci sono figli e figliastri e dei conti dello Stato pontifico non si sa più nulla. Tira aria di sciopero, per una protesta, ferma ed educata, che percorre tutti gli uffici alle dipendenze di Francesco.

La data decisiva è il 25 settembre, quando è fissata l’assemblea dell’Associazione dipendenti laici del Vaticano - istituita il 31 ottobre del 1993 - guidata ora dal segretario Alessandro Guarasci. In quella riunione, che rinnoverà le cariche, si potrebbe decidere anche la prima astensione dal lavoro nella storia millenaria della Santa sede. La Adlv non è un vero sindacato - questo Papa ha fatto di tutto per comprimerlo anche se l’associazione è riconosciuta - ma è aggregata a tutte le organizzazioni sindacali mondiali. Il clima è molto pesante e i lavoratori spingono per una protesta clamorosa. Sono poco meno di cinquemila - 4.978 al 31 dicembre scorso per la precisione - di cui 1.165 donne, aumentate parecchio durante il regno bergogliano. Un altro mini-sindacato è quello dei lavoratori della Fabbrica di San Pietro: sono un centinaio tra scalpellini, muratori, facchini. Loro sono a un passo dall’astensione dal lavoro per due ragioni: guadagnano troppo poco, temono di perdere il lavoro perché in Basilica stanno entrando gestioni esterne. Come quella delle buste paga affidata allo studio Stefano Goldoni che ha gestito i licenziamenti al Messaggero di Sant’Antonio, la rivista dei frati minori conventuali. Sono arrabbiati anche per il nuovo regolamento dei dipendenti della «Fabbrica». Dovrebbero salire sulle impalcature in divisa linda e pinta: basta una macchia di calcina e si è multati. Tra gli obblighi c’è quello di esser cattolici, di essere sposati in Chiesa se coniugati, di non avere né piercing né tatuaggi, ma soprattutto di tacere: non rivelare nulla. E però devono indurre i fedeli a versare le elemosina. Perché il piatto della Fabbrica pontificia piange.

Il clima di malumore contro il cardinale Pietro Gambetti, che è vicario generale per la Città del Vaticano e presidente della Fabbrica di San Pietro è crescente. I dipendenti gli contestano che si sia portato da Assisi tutto lo staff apicale e che San Pietro sia gestito con gli stessi criteri della Basilica di San Francesco creando non poche difficoltà a cominciare dalle file dei turisti quando c’è il cambio turno in biglietteria. Da almeno quattro anni con i dipendenti della Santa sede nessuno parla: eseguono ordini, sovente molto bruschi, con continue minacce di licenziamento - non hanno alcun ammortizzatore sociale: né cassa integrazione, né sussidio di disoccupazione - subiscono un’erosione degli stipendi che non accenna a fermarsi e una tendenza alla esternalizzazione dei servizi per ridurre progressivamente il personale. Una notizia che ha inquietato non poco è che sta per chiudersi la secolare esperienza dell’Annona vaticana. Il supermercato - dove conviene fare la spesa: è una delle poche difese che chi lavora per Bergoglio ha contro l’inflazione - dal prossimo primo gennaio passa a una gestione privata. Le indiscrezioni dicono che verrà affidato alla Pewex di Sante e Paolo Cetorelli, imprenditori romani. Resta da capire che fine fanno i cinquanta dipendenti del Vatican Market. Scherzando qualcuno in curia dice che passeranno dal vendere il tonno Nostromo a fare il nostromo sulle navi appoggio della missione pro-migranti di Luca Casarini. Eguale apprensione c’è per la farmacia vaticana. È uno dei «gioielli» della Santa sede, tant’è che ci sono file infinite di «non residenti» che vi si recano per comprare medicine che non si trovano in Italia. Ma anche qui per i dipendenti vaticani c’è un problema. Se uno è andato in pensione può comprare solo i farmaci prescritti dai medici del Fondo assistenza sanitaria (Fas) che peraltro i dipendenti pagano. E anche sulla farmacia che è diretta dal priore Binish Thomas Mulackal ci sono voci di messa a reddito.

Perché una cosa è sicura: le rivoluzioni economiche ordinate da Francesco e di fatto gestite da Rehinard Marx, il cardinale di Monaco pro Lgbtq+ che vuole le sacerdotesse e i preti sposati, oltre ai matrimoni gay, non hanno dato gli esiti sperati. E siccome la sinistra non deve sapere cosa fa la destra i bilanci della Santa sede non vengono più pubblicati. Ci si può fare un’idea attraverso i conti dell’Obolo di San Pietro - il fondo di beneficenza gestito una volta da Governatorato ora sotto la diretta responsabilità del Segretario di Stato il cardinale Pietro Parolin - che vanno sempre peggio perché la Chiesa di Francesco ha sempre meno fedeli e riceve sempre meno elemosine. Lo scorso anno le entrate dell’Obolo si sono «fermate» a 52 milioni di euro, le uscite sono state pari a 109,4 milioni. Il «rosso» di oltre 57 milioni è stato coperto attingendo alle riserve. Va notato che solo 13 milioni sono andati a vantaggio dei più bisognosi. Da qui la premura dell’Associazione dipendenti di aprire un confronto prima di tutto con il governatore dello Stato Vaticano il cardinale Fernando Vérgez Alzaga che non muove foglia che Francesco non voglia e infatti sinora si è sottratto a tutti i confronti. Peraltro da lui dipende la maggior parte di chi opera all’interno delle Mura leonine. Il Segretario di Stato Parolin - si vocifera nei corridoi - sarebbe propenso ad ascoltare e concedere perché teme un contraccolpo forte d’immagine dalla protesta che l’Adlv ha già messo nero su bianco. Scrive nel suo documento: «A partire dal “Motu proprio” Fidelis dispensator et prudens, il Vaticano ha iniziato a prestare una particolare attenzione all’economia, tratto ormai dominante in tutte le attività. Oggi, a fronte dell’investimento di risorse effettuato, quali sono i risultati di questa “rivoluzione”? Qualcuno ci risponderà prima dell’Assemblea Generale di settembre? Ce lo auguriamo vivamente perché il malcontento cresce impietosamente, come dimostra la class action portata avanti da alcuni dipendenti dei Musei vaticani. A quando la tanta auspicata apertura al dialogo sullo stile del cardinale Casaroli?». I Musei vaticani sono la grande incognita di questa vertenza: contano oltre 300 dipendenti, alcuni molto pagati, ma dopo il Covid hanno avuto sempre bilanci in rosso. Si temono tagli occupazionali e servizi dati in appalto: la direttrice Barbara Jatta, per ora tace. Lamenta l’Associazione che attorno ai conti del Vaticano ci sia un silenzio sospetto. E poi a preoccupare c’è il capitolo esternalizzazioni. Come se Jorge Mario Bergoglio da una parte predichi la difesa del lavoro e della missione cristiana di chi presta la sua opera in Vaticano, ma dall’altra abbia intenzione di sfoltire i ranghi affidando tutto all’esterno.

A cominciare dall’immenso patrimonio immobiliare riunito nell’Apsa, l’immobiliare vaticana. A dirigerla è arrivato l’arcivescovo Giordano Piccinotti, ma sta seguendo il piano messo a punto da monsignor Nunzio Galantino il suo predecessore, uno degli uomini che ha dettato al Papa la riforma dell’economia. Ebbene quel patrimonio che è stimato sui tre miliardi di euro finirà in gestione a un consorzio di operatori immobiliari italiani, così come Deloitte è stata incaricata dal Dicastero per l’Evangelizzazione di essere l’advisor strategico per il Giubileo 2025 e la McKinsey sta organizzando un piano strategico per il rilancio della comunicazione vaticana.