L’omicidio di piazza Meardi a Voghera, il padre e il fratello di Younes: «Lo cercavamo da giorni, lo abbiamo trovato morto in ospedale»
VOGHERA. «Non ci hanno avvisati nemmeno che era morto, eppure avevano i nostri documenti. Abbiamo scoperto quello che era successo facendo il giro in ospedale a Voghera la mattina del 21 luglio. Il giorno prima mio figlio non si era presentato a casa, a Livorno Ferraris, per la festa del Sacrificio, una celebrazione importante per noi musulmani. Non era mai accaduto prima». Mohamed El Boussettaoui è il padre di Younes, il 39enne ucciso la sera del 20 luglio 2021 in piazza Meardi da un colpo di pistola esploso dall’ex assessore leghista alla sicurezza del Comune di Voghera, Massimo Adriatici.
Il genitore ha parlato, per la prima volta, ieri mattina nella nuova udienza del processo che vede Adriatici accusato di eccesso colposo di legittima difesa. «A Voghera ero stato già altre volte a cercarlo, ci aveva detto che era lì con degli amici – ha spiegato il padre –. Da cinque o sei mesi mio figlio non stava bene. Quando tornava a casa si comportava in modo strano, aveva le visioni, si sentiva soffocare, voleva scappare. Ma noi non lo abbiamo mai abbandonato, abbiamo cercato di farlo curare».
Una versione confermata dal fratello della vittima, Alì El Boussettauoi, che fa l’autista di mezzi pubblici in Svizzera: «Ho accompagnato mio padre il 12 luglio a Voghera, a cercare mio fratello. Mio padre era andato già il 7. Siamo stati in caserma, dove abbiamo lasciato i nostri documenti e chiesto di avvisarci se vedevano mio fratello, perché non stava bene e temevamo che potesse capitargli qualcosa di brutto. Quando è morto però nessuno ci ha avvisati». Qualche settimana prima, il 29 giugno, la famiglia aveva anche chiamato l’ambulanza a Livorno Ferraris, in provincia di Vercelli, e aveva fatto ricoverare Younes El Bousseattoui. Che però dall’ospedale era scappato.
«Era disturbato»
I familiari della vittima, parte civile con gli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli, con i loro racconti hanno ricostruito i passaggi più importanti della vita di Younes El Boussettaoui e soprattutto gli ultimi mesi prima della morte. In tutte le testimonianze (raccolte in modo separato, senza che i familiari potessero parlarsi) è emerso che, a un certo punto, la vittima, che aveva moglie e figli in Marocco e in Italia aveva sempre vissuto con i genitori e con la sorella, prima a Novara e poi a Livorno Ferraris, aveva manifestato disturbi mentali.
«Vedeva angeli e diavoli, aveva le allucinazioni, parlava con persone inesistenti – ha spiegato la sorella, Bahija El Boussettaoui –. Quando ha cominciato a prendere le cartacce da terra per mangiarle abbiamo cercato di farlo ricoverare. Come è ora la nostra vita? Ferma al giorno in cui è stato ucciso. È il modo in cui è morto, come se fosse stato nessuno, che non ci va vivere. Non abbiamo ricevuto né scuse né condoglianze».
A Voghera Younes El Boussettauoi non viveva da amici, come aveva detto ai sui parenti, ma da sbandato, senza un tetto sulla testa. «Era una persona disturbata mentalmente, non sapevamo nemmeno che avesse una famiglia – ha spiegato Elena Zotti, vice presidente della cooperativa che gestiva il centro dove Younes era stato accolto –. Rispettava le regole, fuori invece so che infastidiva le persone. Era consapevole di essere malato e aveva bisogno di cure psichiatriche, ma da noi non è mai stato aggressivo». Sull’uso di droghe i familiari sono stati concordi: «Non sapevamo ne facesse uso. In casa non fumava nemmeno una sigaretta».
Le lacrime della madre
In aula ha parlato anche Hafida Rabia, la madre di Younes El Boussettaoui. Una testimonianza sofferta, intervallata dalle lacrime, con a fianco l’interprete. «Mio figlio non ha mai dato problemi a casa, era un ragazzo normale – ha spiegato –. Ma qualche mese prima di morire ha cominciato a manifestare disturbi psichiatrici. Andava e veniva da casa, non sapevamo più bene dove fosse. Quando tornava, andava subito via perché diceva di sentirsi soffocare. Mi abbracciava e chiedeva aiuto. Era affettuoso con noi, ma voleva fuggire. Abbiamo provato a portarlo in ospedale, ma è scappato anche da lì. Cosa mi manca di più di lui? Tutto, la mia vita è stata stravolta. Era con me da quando è nato». —
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