Mafia, sequestrato un arsenale di Armi in provincia di Enna: kalashnikov, fucili e pistole nascosti sottoterra e nel magazzino di un bar
Un arsenale micidiale, pronto all’uso e perfettamente funzionante a disposizione di Cosa nostra. E’ quello che hanno scoperto gli uomini della Polizia che oggi con l’operazione Lua Mater hanno eseguito 13 misure cautelari in provincia di Enna, tra Regalbuto e Pietraperzia. Le accuse per tutti, a vario titolo, sono di associazione per delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento personale aggravato, detenzione e porto abusivo di armi da guerra armi clandestine e comuni da sparo. Durante le indagini, dirette dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Caltanissetta, la Sisco di Caltanissetta, la Squadra mobile di Enna e il commissariato di Leonforte, coordinati dal Servizio centrale operativo, hanno sequestrando complessivamente 3 fucili mitragliatori d’assalto (kalashnikov), 8 fucili, 9 pistole e il relativo munizionamento. Le armi erano nascosti sottoterra in campagna o custoditi nel magazzino di un bar nella piazza del paese.
L’attività investigativa ha riguardato la famiglia mafiosa di Pietraperzia. E’ stato così possibile scoprire una parte dell’arsenale che L.B., già condannato per associazione mafiosa, custodiva, insieme al figlio F.B., in un terreno. Durante una prima perquisizione, però, i poliziotti hanno trovato solo poche cartucce calibro 12 e alcune parti di fucile. Temendo un nuovo controllo, gli indagati insieme a un loro fiancheggiatore avrebbero dissotterrato, con un escavatore, alcuni sacchi di plastica che si trovavano nel terreno di proprietà di L.B. e che, dopo una serie di spostamenti provvisori, sarebbero stati definitivamente interrati in un altro fondo, non distante dal loro, di notte e all’insaputa del proprietario del terreno. Grazie anche alle telecamere dotate di visore termico, però, gli agenti sono riusciti a individuare l’esatto punto in cui erano stati interrati i sacchi. All’interno c’erano sei pistole, cinque fucili, un kalashnikov, un mitragliatore da guerra e più di 1.000 proiettili, comuni e da guerra, di diverso calibro. Per il gip di Caltanissetta L.B., la moglie G.F., e il figlio F.B., insieme a D.A.A., ritenuti organici alla famiglia mafiosa di Pietraperzia, potevano contare su una schiera di persone, che, essendo a loro disposizione, gli avrebbero prestato assistenza durante le ripetute movimentazioni dell’arsenale e li avrebbero favoriti a eludere le indagini a loro carico, sia mediante la bonifica di un’auto che attraverso il rilascio di false dichiarazioni agli inquirenti. Gli indagati sono tutti indicati solo con le iniziali, nonostante in alcuni casi abbiano già condanne per mafia, a causa della legge sulla presunzione d’innocenza voluta dall’ex ministra Marta Cartabia.
Un’ulteriore indagine, condotta dalla Squadra mobile di Enna e dal Commissariato di Leonforte, coordinata sempre dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, invece, ha permesso di fare luce sulla riorganizzazione dell’articolazione di Regalbuto della famiglia mafiosa di Enna, ad opera di A. P. A., già condannato con sentenza definitiva nell’operazione ‘Go Kart’. Durante le indagini, nel magazzino di un bar nella piazza centrale di Regalbuto, è stato rinvenuto e sequestrato un arsenale composto da armi da guerra e da armi comuni, che il titolare del bar, A. P. F., arrestato in flagranza lo scorso 1 marzo e cugino di A.P.A., avrebbe detenuto per conto dell’organizzazione mafiosa. In particolare, durante una perquisizione, sono stati rinvenuti un kalashnikov, tre fucili, due pistole semiautomatiche e un revolver, con relativo munizionamento da guerra, nonché più di 250 munizioni, comuni e da guerra, di diverso calibro.
L’imponente arsenale, secondo gli investigatori, fornisce “una chiara indicazione della pericolosità della consorteria mafiosa che ne disponeva e che benché tradizionalmente facente parte della provincia mafiosa di Enna, secondo i gravi indizi acquisiti nel corso delle indagini, risulta intrattenere strettissimi rapporti di collaborazione con il clan Santapaola di Catania e, in particolare, con esponenti di articolazioni dei clan operanti nell’hinterland catanese”. Dopo il sequestro dell’arsenale, lo scorso marzo, è emerso lo sforzo per ricostituire per quanto possibile l’arsenale perduto, con una febbrile ricerca di armi.
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