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Сентябрь
2024

Sulle tracce nascoste degli squeri, primi esempi di cantieristica a Trieste

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Una città quale Trieste che, tra Ottocento e Novecento, costruì il fior fiore delle navi austriache e italiane conserva solo rare tracce dei cantieri navali e degli squeri dai quali ebbe inizio l’attività proto industriale. E se rimangono ruderi e monumenti dei cantieri novecenteschi, sopravvive poco degli originari squeri che, tre secoli fa, permisero la nascita della città moderna. Nazioni con una tradizione marinara come l’Inghilterra ricordano le grandi navi costruite nei secoli passati e attivamente conservano i cantieri da cui i propri vascelli partirono alle proprie conquiste commerciali.

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Lo squero di San Nicolò

Occorre invece, nel caso di Trieste, cogliere le sopravvivenze materiali e toponomastiche disseminate nella città. Il primo squero, in questo contesto, fu quello di San Nicolò: era collocato dove oggigiorno si affaccia sul mare il palazzo del Lloyd, a fianco dell’odierna piazza Unità. Però la sua sede spirituale era altrove, nella cappella di San Nicolò al di fuori di Porta Riborgo. Oggigiorno corrisponde all’odierno largo Riborgo e al grattacielo di Umberto Nordio costruito negli anni Trenta del Novecento.

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Il ruolo dell’antica cappella

L’antica cappella può essere considerata l’involontario motore dell’industria cantieristica triestina: il vescovo di Trieste Nicolò dei Conti di Corret concesse infatti nel 1588 ai marinai triestini di riunirsi in confraternita ponendo quale condizione la buona gestione della vecchia chiesa. I marinai s’incaricavano inoltre di tenere acceso un “fanale” presso il molo della porporella, oggigiorno molo Bersaglieri. La confraternita offriva ai propri membri un’assicurazione ante litteram, specie in caso di scomparsa in mare o incidente a bordo. E traeva, a propria volta, le sue sostanze da una serie di privilegi: all’inizio era “un soldo” per ogni lettera giunta a Trieste via nave e “quattro soldi” per ogni carico di frumento giunto nelle stive; presto tuttavia i privilegi si allargarono a diversi diritti e monopoli, tra cui a fine Seicento e inizio Settecento “la concessione in proprietà e gestione di uno squero”.

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Il maggior cantiere navale

Lo storico Kenneth Baker ha analizzato come lo Squero di San Niccolò fosse stato, specie nella prima metà del Settecento, il maggiore cantiere navale di Trieste. Vi furono certo tentativi calati dall’alto dagli Asburgo, ad esempio col cantiere della Compagnia orientale di Vienna di Carlo VI, ma nessuno eguagliò lo Squero Vecchio. Non avendo sufficiente manodopera a Trieste, la Confraternita iniziò ad assumere operai di Rovigno, rinomata all’epoca per la produzione degli squeri. Iseppo Panfilo, assunto quale capo maestranze, era uno di questi; e presto divenne uno dei maggiori responsabili dello squero, passando poi l’incarico al figlio Odorico.

L’ultimo quarto del Settecento assisteva, nella Trieste giuseppina, a una progressiva crescita, sempre più limitata però dai vecchi schemi della Confraternita di San Nicolò: vi era ormai spazio per un grande cantiere dove costruire grandi navi, opportunità colta da Odorico Panfilli.

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Lo squero Panfili

Avendo la qualifica di “pubblico costruttore navale” e avendo ottenuto dall’imperatore un terreno nella zona della Piazza dei Carradori, tra via Milano e via Geppa, Odorico inaugurò nel 1779 lo Squero Panfilli. Il cantiere si inserì alle soglie delle guerre napoleoniche, durante le quali la richiesta di navi salì esponenzialmente: solo tra il 1788 e il 1824 lo Squero varò circa seicento navi. Il cantiere lavorava a otto navi in contemporanea, sfruttando il legno dei boschi istriani, dalmati e cragnolini. Leone Veronese affermava che le navi di Panfilli, grazie alla qualità del materiale e in particolare della pece dei calafai, durassero in media cinquant’anni, a confronto coi venti dei vascelli inglesi e i dodici dei russi.

Prototipi all’avanguardia

Il cantiere fu il primo a costruire a Trieste e in Austria diversi prototipi all’avanguardia: nel 1818, commissionata dal negoziante americano John Allen, lo squero costruì la Carolina, la prima nave a vapore; nel 1829 varò la Civetta, la nave con la rivoluzionaria elica escogitata dall’inventore Josef Ressel; e nel 1850 la corvetta a vapore Santa Lucia, prima nave da guerra triestina. L’anno successivo, a causa dei lavori per la ferrovia Meridionale Trieste-Vienna, il cantiere dovette sgomberare: oggigiorno schegge dello squero sono disperse un po’ ovunque a Trieste.

Accanto alla fontana di Montuzza, ad esempio, sopravvive una grande panca costruita col legno dello squero Panfilli e nel Museo del Teatro il violino di Carlo Stuparich era stato realizzato col legno dell’i. r. dogana retrostante lo squero, demolita a propria volta onde far spazio al palazzo delle Poste. Purtroppo in tempi recenti la panca ha perso la targa argentata nella quale si commemorava lo squero.

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La testimonianza maggiore rimane la palazzina presso largo Panfili n. 1, utilizzata ai tempi quale abitazione e sede amministrativa dello squero. Al di sotto dei due balconi è possibile ammirare una targa con la scritta “Cantiere Panfilli” e lo sfondo di una nave in costruzione attorniata dalla figura di una donna. La seconda targa reca invece l’anno: 1833.

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La toponomastica trae in inganno

La toponomastica del largo trae invece in inganno: piazza dei Carradori nel 1883 si rimpicciolì nella piazzetta della chiesa evangelica, divenendo appena nel 1942 largo Panfili. Il riferimento in questo caso è a un discendente della famiglia, di nome Teodorico: tenente medico, Panfilli morì in combattimento in Africa orientale a Selassié, nel 1938. Egli «saputo che un suo collega era stato gravemente ferito, si slanciava fuori dalla sua posizione» e « trovato l’ufficiale già cadavere, provvedeva ad occultarlo per evitare lo strazio della salma. Durante tale suo pietoso ufficio trovava gloriosa morte». Medaglia d’oro al valor militare e, nel contesto dello squero, gran confusione toponomastica.

La corvetta da guerra del Panfilli era stata progettata da un veneziano che insegnava alla Scuola Nautica di Trieste: Gaspare Tonello. Il professore fondò presto un proprio cantiere nel 1840, scegliendo un’area da Campo Marzio a Servola, corrispondente a Chiarbola inferiore. Lo stabilimento San Marco introdusse per la prima volta l’idea di costruire una nave su principi matematici, senza limitarsi alla conoscenza empirica del capomastro.

Il primo motore marino

Non distante dal San Marco, sempre vicino al passeggio di Sant’Andrea, c’era l’officina meccanica Strudthoff, dal nome di un capitano di Brema che aveva trovato moglie a Trieste. La ditta nel 1857 cambiò nome quale Stabilimento tecnico triestino, giungendo a inglobare il cantiere San Rocco e la fonderia di Muggia. Sarà allo Stabilimento che l’ingegnere inglese Robert Whitehead realizzò il primo motore marino di Trieste, consegnando alla storia l’epoca delle navi di legno e dei maestri d’ascia dei Panfilli.

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