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Сентябрь
2024

Le regole per una buona omelia: massimo 8 minuti e chiarezza

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PORDENONE. «L’omelia, commento che fa il celebrante, deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita. Ma per questo deve essere breve: un’immagine, un pensiero, un sentimento».

Sono le parole, a braccio, di Papa Francesco pronunciate alcune settimane fa, durante un’udienza generale. Il Pontefice ha anche suggerito un tempo massimo, per non annoiare troppo i fedeli: ricorrente l’immagine della gente che guarda in giro, l’orologio o il cellulare.

«L’omelia non deve andare oltre otto minuti perché dopo quel tempo si perde l’attenzione e la gente si addormenta e ha ragione. E questo – ha aggiunto sempre a braccio papa Francesco – voglio dirlo ai preti che parlano tanto, tante volte e non si capisce di che cosa parlano».

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Premessa per anticipare l’ultimo lavoro di due autorevoli preti pordenonesi, don Chino Biscontin (esperto di omiletica, a lungo direttore della rivista Servizi della Parola, dedicata all’omelia) e don Roberto Laurita (ha insegnato catechetica e comunicazione pastorale al Laurentianum di Venezia), che, per i tipi della Queriniana, hanno pubblicato Prendere la parola – Omelie e molto altro: una sfida per tutti.

I due sacerdoti partono da un passo famoso degli Atti degli Apostoli, in cui un giovane si addormenta mentre l’apostolo Paolo sta predicando e cade dalla finestra dov’era seduto. Un episodio drammatico, eppure anche san Paolo non ha potuto impedire a qualcuno di assopirsi. «Chi prende la parola in un’omelia lo sa bene – dicono gli autori –. Può riuscire a risvegliare qualcosa nella mente e nel cuore di chi ascolta, ma accade anche che qualcuno si assopisca».

Nella chiesa sono molte le occasioni in cui qualcuno prende la parola: il prete o il diacono nell’omelia, colui che presiede, altri come testimonianza o semplicemente con avvisi. Ma, nella vita parrocchiale, ci sono anche il catechismo, gli incontri di preghiera, i consigli pastorali o degli affari economici. E chi ascolta? «Non costituisce una cornice».

Il libro è suddiviso in tre parti: cos’è un’omelia e a cosa serve, come si costruisce e si prepara un’omelia, l’atto di comunicazione. La conclusione: prendere la parola è un’arte.

In modo chiaro e concreto, i due autori, grazie alla loro competenza ed esperienza, offrono una risposta. Perché prendere la parola in ambito ecclesiale non è solo esporre una teologia o saper applicare una tecnica oratoria. «È tentare di raggiungere il cuore di un’esperienza e di un servizio preziosi: è comunicare la fede, destarla, accompagnarla, intendere gli interrogativi profondi, sanarne l’astrattezza o le debolezze, all’insegna di una spiritualità nutrita di sapienza e audacia».