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Сентябрь
2024

Jenin in Cisgiordania è oggi una città in rovina. E il mondo resta in silenzio

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Questa mattina, il notiziario radio che ascoltavo (Radio France Internationale) parlava di Jenin, una città della Cisgiordania occupata che, per dieci giorni, è stata teatro di una delle più violente “operazioni” militari israeliane degli ultimi vent’anni. “Operazione” che ha portato alla morte di quasi quaranta palestinesi, tra cui otto bambini. E di nuovo, la comunità internazionale ha reagito con la solita condanna blanda, inefficace, che suona ormai come un’eco vuota.

Jenin oggi è una città in rovina. Le immagini evocate dalle parole dei testimoni (confermate dal video dell’AFP) parlano di strade crivellate da crateri, scavate dalle macchine per il movimento di terra israeliane, con le acque reflue che scorrono senza controllo dopo la distruzione dei canali di scolo. Il campo profughi di Jenin è stato ridotto a un cumulo di macerie: le case, un tempo rifugio per famiglie già provate da decenni di occupazione, ora sono colpite e crivellate di proiettili, altre completamente rase al suolo.

Razif Alef, uno degli abitanti, ha raccontato in prima persona il terrore vissuto: “Hanno iniziato a sparare direttamente contro la mia casa. Siamo scappati dal vicino, ma l’esercito israeliano è entrato comunque, lanciando una granata senza alcun preavviso. Non è la prima volta che ci prendono di mira, ma questa volta è stato molto peggio del 2002″. Parole che pesano come macigni, e che non possono lasciare indifferenti.

Mohamed el-Sahadi, un altro residente, nato e cresciuto a Jenin, descrive una situazione che supera ogni immaginazione: “In nome della lotta al terrorismo, stanno distruggendo le nostre strade, le reti fognarie, l’acqua potabile, l’elettricità. Distruggono le nostre case e ci lasciano per strada. È questa la loro lotta al terrorismo?”.

E qui risiede il nocciolo della questione. Quale giustificazione può esistere per infliggere una tale punizione collettiva a un’intera popolazione? In che modo bombardare infrastrutture civili e radere al suolo abitazioni può essere considerato una strategia di sicurezza? E soprattutto, perché il mondo resta in silenzio davanti a questa devastazione?

Le parole ascoltate oggi alla radio mi hanno riportato alla realtà di un popolo che, da decenni, è costretto a vivere sotto occupazione, e che vede la sua terra e le sue vite distrutte sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale. La sofferenza di Jenin è l’ennesimo episodio in una lunga storia di violenza e oppressione, che sembra non avere fine.

Come possiamo accettare che il costo umano di questa occupazione sia così elevato, eppure così trascurato?

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