Il rito del pellegrinaggio a Castelmonte, fedeli guidati dall’arcivescovo Lamba
Il cielo minaccia pioggia, che infatti poi arriverà, ma l’attaccamento del popolo friulano al pellegrinaggio diocesano a Castelmonte nella ricorrenza della Natività di Maria – istituito all’indomani del terremoto del ’76 e da allora ripetutosi ogni settembre – è talmente forte che in tanti, ad onta delle previsioni meteo, si raccolgono comunque davanti alla chiesetta di Carraria, all’imbocco dei 7 chilometri di salita che separano dal santuario.
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Ombrelli alla mano, attendono l’inizio della lunga processione che li porterà fino a Madone di Mont, atto di devozione che il passare del tempo non affievolisce: con loro, alla partenza e poi per tutto il tragitto, c’è l’arcivescovo di Udine, monsignor Riccardo Lamba, che vuole onorare il suo primo pellegrinaggio a Castelmonte percorrendo l’intero tragitto a piedi, in testa a quel gruppo di coraggiosi (non pochi) che hanno scelto di correre il rischio di giungere a destinazione zuppi, pur di rispettare una consuetudine di fede inscindibilmente legata, appunto, alla triste memoria dell’Orcolat.
Non c’è, all’arrivo, la consueta “chiesa a cielo aperto” ad attendere vescovo e folla: il piazzale che abitualmente ospita la solenne messa dell’8 settembre si presenta, stavolta, nella sua consueta funzione di parcheggio, ma l’alto numero di macchine presenti indica che la gente del Friuli ha voluto ugualmente esserci.
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Chi non se l’è sentita di osare la camminata è salito in auto, e per quanto manchi l’immagine dello slargo strapieno di persone, raccolte attorno alla pedana su cui viene posizionato l’altare, forse quella della fila di ombrelli che procede lenta verso la chiesa (obbligata location alternativa) e dei pellegrini stipati in ogni angolo disponibile del santuario, restituisce un’istantanea ancora più nitida del legame dei friulani con Castelmonte e, appunto, con l’usanza del pellegrinaggio, «espressione – lo definisce il vescovo nell’omelia – della fede nella Madonna di una popolazione passata attraverso una terribile esperienza materiale e morale».
«La consuetudine dell’ascesa al santuario – prosegue – nacque sulla spinta dell’auspicio di saper rinascere da un evento dolorosissimo, che tanti di voi hanno patito sulla propria pelle. Il terremoto ha distrutto case, spezzato affetti, spazzato via imprese, ma il Friuli ha saputo rialzarsi, tornare a vivere e a operare. Oggi – continua – siamo qui per chiedere a Maria di intercedere per noi con suo figlio, affinché docili come lei sappiamo essere segno di speranza per l’unanimità dei nostri tempi, che se sembra aver smarrito il senso autentico dell’esistenza, in realtà vi anela come un bambino che sta per venire alla luce».
La sempre forte partecipazione al pellegrinaggio dell’8 settembre, nonostante il passare degli anni, nonostante – in questa occasione – il meteo infelice, è segnale incoraggiante, osserva monsignor Lamba, «in un mondo ambivalente e ambiguo, segnato dalla corruzione, dalla convinzione che ciò che conta sia solo il successo, il potere: possiamo ancora sperare – ribadisce l’arcivescovo –, perché Dio opera non nonostante, ma proprio nella piccolezza umana», come avvenuto con l’umile Maria, «capace di accogliere la grazia del Signore senza se, senza ma, senza “a patto che”, in tutta la sua esistenza».
Di essa, peraltro, «non sappiamo nulla», ricorda il vescovo richiamando il passo del Vangelo, che nella ricorrenza della Natività della Vergine racconta invece del concepimento di Gesù, dal punto di vista di Giuseppe.
«Della Natività di Maria – spiega – non parla nessun testo del Nuovo Testamento: non sappiamo dove è nata, né quando. Ma sappiamo che per dare compimento al suo disegno di salvezza, Dio ha voluto agire attraverso questa donna: non ha distrutto la creazione ferita dal peccato delle origini, ma ha voluto “inserirsi” con la nascita di una bambina, che potesse mettersi in gioco insieme a lui in una storia nuova. Non solo, dunque, non si è pentito del suo progetto iniziale, ma lo ha voluto rinnovare avvalendosi della collaborazione libera e consapevole di Maria, così giovane, così umile. È un segno, ripeto, di speranza: indica che la storia, al di là delle apparenze, non è una corsa inesorabile verso un precipizio di morte».