Republika Srpska: Mladić e Karadžić «eroi di guerra» in una riforma della storia a scuola
BELGRADO. Altro che memoria condivisa, consapevolezza della tragedia degli anni Novanta, riflessione sui crimini compiuti dai propri padri, riconciliazione. Nel cuore dei Balcani si continua a seminare la mala pianta dell’odio. E lo si fa nelle istituzioni più sensibili e importanti per il futuro: le scuole.
È lo scenario che, secondo critici assai autorevoli, potrebbe concretizzarsi in Republika Srpska (Rs), l’entità politica dei serbi di Bosnia, dove sta facendo molto discutere una sorta di mini-riforma dell’insegnamento della storia per l’equivalente italiano delle terze medie e delle prime superiori. A proporla, l’Istituto pedagogico serbo-bosniaco, che ha il potere di orientare il curriculum di studio al ministero dell’Educazione, cui spetta però l’ultima parola. Istituto che ha avuto l’idea, per alcuni malaugurata, di suggerire di porre l’accento sui banchi di scuola, a partire dal nuovo anno scolastico, anche sul sanguinoso conflitto in Bosnia del ’91-’95. Ma ci sono modi e modi per trattare quel periodo così lacerante. Forse quello meno adatto è parlare di “guerra difensiva” per i serbi, così è stata definita dall’Istituto, un tema da elaborare in dieci lezioni. Ma a fare scalpore è stato soprattutto l’inserimento dei nomi dei criminali di guerra, Ratko Mladić e Radovan Karadžić, fra “le nozioni” che gli studenti serbo-bosniaci devono assolutamente apprendere. Ma come saranno descritti, i due, condannati in via definitiva per crimini di guerra e genocidio?
«Come eroi» e del «genocidio, dei crimini e della pulizia etnica» contro i non-serbi inoltre «non c’è menzione», ha così sostenuto l’editorialista e intellettuale Dragan Bursać, che si è chiesto «se qualcuno reagirà» a una presunta tale mostruosità. Ma qualcuno, anzi in tanti, hanno reagito. I ragazzini serbo-bosniaci studieranno Mladić e Karadžić «come eroi di guerra, non come criminali», ha confermato anche l’ex sindaco di Srebrenica, oggi vicepresidente della Rs, Ćamil Duraković, che ha fatto appello alla Procura nazionale a indagare.
È «irresponsabile politicizzare l’educazione e minare la fiducia e la comprensione tra future generazioni in Bosnia-Erzegovina», ha stigmatizzato anche l’ambasciata Usa a Sarajevo. «I leader politici dovrebbero promuovere e consentire alle autorità educative di aprire un dialogo onesto come primo passo per stabilire un approccio comune e rigoroso all’insegnamento della storia della guerra del ’92-’95, tema sensibile», ha affermato così l’Osce, mentre anche le Madri di Srebrenica sono insorte. Ben diversa è invece la campana che risuona a Banja Luka. «È del tutto normale presentare allo studente la storia e gli eventi che hanno segnato una delle tappe» del nostro passato, con «l’obiettivo che gli studenti non odino nessuno, ma sappiano chi sono e da dove vengono e qual è la loro origine, allo stesso tempo accettando gli altri diversi da loro, che non condividono le loro opinioni sul passato», ha replicato la direttrice dell’Istituto pedagogico, Sladjana Tanasic, citata dai media locali. Sulla stessa linea anche il ministero serbo-bosniaco dell’Educazione, che spiegato che raccontare i fatti della «guerra difensiva» degli anni Novanta è impossibile senza parlare anche di Mladić e Karadžić, importanti figure politiche e militari per Banja Luka. Ma, secondo la Tv regionale N1, delle loro condanne passate in giudicato sarebbe meglio non parlare sui banchi di scuola.